Abuso dei permessi da legge 104

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È successo per l’ultima volta pochi giorni fa a Bagnolo, in provincia di Cremona: l’abuso dei permessi da Legge 104 può portare alla sospensione dal servizio e nei casi più gravi al licenziamento. Chi approfitta dei tre giorni retribuiti al mese di assistenza al parente disabile per svolgere altre attività rischia pene severe, ma recentemente la Cassazione ha aperto degli spiragli di flessibilità. Vediamo quali. Le agevolazioni da Legge 104 danno diritto, come è noto, a tre giorni retribuiti di permesso al mese, anche continuativi, a tutti i lavoratori che assistono un parente fino al secondo grado con handicap in situazione di gravità. L’abuso dei tre giorni di permesso, ossia l’utilizzo delle ore concesse per altre attività non correlate all’assistenza al disabile, può essere punito con sanzioni disciplinari. È quello che è successo, per l’appunto, a un agente della Polizia di Bagnolo Cremasco, che pochi giorni fa è stato sospeso dal servizio per la durata di 6 mesi perché “pizzicato” a svolgere attività personali durante i giorni di assistenza al parente disabile. Ha pesato sulla decisione, come comunicato dalla stessa amministrazione comunale, anche il fatto che l’interessato fosse un agente di pubblica sicurezza, al quale era perciò richiesto maggior rigore nell’osservanza delle leggi. All’agente, in ogni caso, poteva anche andare peggio. In determinate circostanze infatti chi abusa dei permessi da Legge 104 rischia il licenziamento per giusta causa. È quanto stabilito, ad esempio, da una sentenza della Cassazione dello scorso settembre, che ha respinto il ricorso di una dipendente del Comune licenziata per aver frequentato lezioni universitarie durante il permesso. Il lavoratore che abusa dei tre giorni di assistenza, aveva motivato la Suprema Corte, priva il datore di lavoro della prestazioni dovuta, violando allo stesso tempo i principi di correttezza e buona fede previsti dal contratto. Ma attenzione. Un recente orientamento della giurisprudenza, a partire da una sentenza della Cassazione dello scorso dicembre, ha stabilito che è possibile garantire ai lavoratori una maggiore flessibilità nell’uso dei permessi da Legge 104. Secondo la Cassazione i tre giorni di permesso, a livello teorico, non servono solo a garantire una maggiore assistenza al disabile ma anche a concedere al lavoratore che assiste il parente handicappato “un breve spazio di tempo per provvedere ai propri bisogni personali“. Gli abusi vanno comunque puniti, ma non è necessario che il lavoratore dedichi tutto il suo tempo all’assistenza del disabile. Come comportarsi, allora? La Suprema Corte ammette che è impensabile pretendere che l’assistenza “continuativa” al parente disabile implichi una disponibilità del lavoratore di 24 ore al giorno. D’altronde, anche nei normali giorni di lavoro, quest’ultimo non può ovviamente dedicarsi all’assistenza del parente per buona parte della giornata. Giusto allora che l’aiuto alla persona handicappata sia fornito nei momenti di bisogno, e non necessariamente nelle specifiche ore durante le quali il lavoratore sarebbe altrimenti rimasto in ufficio. Abusi sarebbero, in questo caso, solo le attività totalmente disconnesse da ogni tipo di assistenza: ad esempio, come nel caso di specie, un viaggio o una vacanza.