Colpa Medica e Tutela del Malato
Responsabile il pediatra attendista, colpa grave se trascura visita
Il medico pediatra non può rinviare la visita domiciliare ad un suo piccolo paziente e non è scusabile per colpa lieve. La sentenza della Quarta Sezione Penale della Corte di Cassazione del 23 gennaio 2019, n. 3206 fa riferimento alla colpa medica grave per il pediatra “attendista”.
Il caso
Si addebita al medico pediatra, di aver cagionato colposamente il decesso del piccolo, di mesi 17, per avere prima omesso di visitarlo, nonostante il bambino continuasse ad avere febbre elevata, come comunicato telefonicamente dalla madre, limitandosi a prescrivere paracetamolo in supposte e poi ibuprofene; successivamente per non aver formulato una corretta diagnosi,
E’ stato addebitato al medico un atteggiamento ingiustificatamente “attendista” e di generale sottovalutazione del quadro clinico del paziente, nonostante i sintomi manifestati avrebbero dovuto indurre ad un approccio ben diverso, sia attraverso l’immediata visita domiciliare (o presso il suo studio) del paziente, sia mediante il pronto indirizzamento del medesimo in ambiente ospedaliero, tenuto conto del rilevante peggioramento delle sue condizioni di salute.
Il Giudice di primo grado e la Corte di Appello di Milano, valutavano la condotta del pediatra in termini di grave negligenza, ed in riferimento alla “colpa lieve” invocata dal ricorrente è da escluderle, in considerazione della notevole divergenza tra la condotta tenuta dall’imputato e quella cui sarebbe stata tenuta, avuto riguardo alla grave sottovalutazione delle condizioni generali del bambino, avendo il medico ingiustificatamente posto poca attenzione all’evoluzione della situazione patologica del bambino.
In tali casi non può che parlarsi di colpa grave, con conseguente esclusione della riconducibilità alla previsione decriminalizzante prevista dalla L. 8 novembre 2012, n. 189, articolo 3 (c.d. legge Balduzzi).
Colpa Medica e Tutela del Malato
Cartella clinica e il suo valore probatorio nel giudizio riguardante la responsabilità medica
La Corte della Cassazione, terza sezione civile, si è pronunciata, con ordinanza n. 18567 del 13 luglio 2018, ribadendo la centralità del ruolo della cartella clinica e del suo valore probatorio nel giudizio riguardante la responsabilità medica.
I fatti
Nel 2007 il coniuge e i figli di un uomo convennero in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma una società per azioni, in questo caso la struttura sanitaria, per ottenere il risarcimento dei danni patiti dal congiunto, dopo il decesso di quest’ultimo, a seguito dell’intervento operatorio, di rivascolarizzazione miocardica tramite innesto di cinque bypass, per risolvere una patologia di “sindrome coronarica acuta e stenosi dei vasi coronarici”.
Evidenziavano come dopo l’intervento si fossero verificati problemi di instabilita’ emodinamica e di tenuta delle suture, che rendevano necessario un secondo intervento per revisionare le suture; che l’emergere di una infezione da stafilococco aureo con ascessualizzazione nel cavo mediastinico, nonostante la terapia antibiotica, aveva reso necessario un terzo intervento di revisione sternale. L’infezione non si arrestava e si verificava il decesso del paziente.
Gli attori sostenevano che il decesso fosse ascrivibile alla mancata sospensione del trattamento antiaggregante in corso, al mancato tempestivo inizio della profilassi antibiotica al fine di prevenire l’insorgere dell’infezione e al ritardo con il quale era stato eseguito l’intervento chirurgico per contrastare l’infezione insorta.
A sostegno dei propri assunti producevano la relazione conclusiva del procedimento di istruzione preventiva ex articolo 696 bis c.p.c.svoltosi su loro iniziativa contro la struttura sanitaria, che in quella sede non riteneva di estendere il contraddittorio ai medici coinvolti.
Si costituiva la struttura sanitaria, contestando le domande avversarie e chiamando in causa il chirurgo , l’anestesista e l’assistente medico.
Il chirurgo si costituiva e preliminarmente contestava l’ammissibilità dell’elaborato peritale, che si era costituito in un procedimento di istruzione preventiva al quale non aveva preso parte e, nel merito, contestava la sussistenza di una propria responsabilità, poiché asseriva che il decesso del paziente fosse attribuibile alle conseguenze di una infezione nosocomiale che, come tale, era da ricondursi alla esclusiva responsabilità della casa di cura ed all’esecuzione della profilassi antibiotica.
Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 14891/11, depositata l’11.7.2011, condannava tutti i convenuti a risarcire i danni agli eredi, pari a complessivi Euro 901.246,11. In particolare, preso atto che le parti convenute non avevano assolto all’onere della prova a proprio carico non avendo prodotto la cartella clinica, alla luce degli elementi presenti in atti il Tribunale riteneva sussistente il (solo) profilo di responsabilita’ relativo alla mancata prevenzione e al deficitario trattamento dell’infezione insorta, per omessa somministrazione di copertura antibiotica.
L’appello.
La clinica non impugnava la sentenza di primo grado che pertanto, nei suoi confronti e’ passata in giudicato. Contro la sentenza proponevano separati appelli dinanzi alla Corte d’appello di Roma, poi riuniti, il dottore e l’assistente, il primo lamentando che il Giudice di prime cure non avesse disposto una consulenza tecnica d’ufficio e comunque criticando nel merito la sentenza, tra l’altro per non aver attribuito alcuna percentuale di responsabilita’ all’anestesista, sul presupposto che lo stesso non avesse svolto attivita’ che potessero favorire l’insorgenza dell’infezione.
Colpa Medica e Tutela del Malato
L’uso di abbreviazioni o sigle per la gestione del farmaco può indurre in errore il paziente. Le linee guida del Ministero della Salute
L’uso di abbreviazioni, acronimi, sigle e simboli, sebbene sia una prassi consolidata durante le fasi di gestione del farmaco in ospedale e sul territorio, può indurre in errore e causare danni ai pazienti.
Al riguardo, è necessario fornire indicazioni per garantire qualità e sicurezza delle cure. La Raccomandazione n.18 fornisce indicazioni per prevenire gli errori in terapia conseguenti all’utilizzo di abbreviazioni, acronimi, sigle e simboli, e migliorare la sicurezza nella gestione dei farmaci.
A chi è rivolta?
E’ rivolta a Regioni e Province Autonome, alle Direzioni aziendali, agli operatori sanitari coinvolti nel processo di cura del paziente e nella gestione dei farmaci, inclusi gli Specialisti ambulatoriali, i Medici di medicina generale (MMG) e i Pediatri di libera scelta (PLS), i Medici del servizio di continuità assistenziale, i Farmacisti ospedalieri e dei Servizi territoriali delle aziende sanitarie, i Farmacisti di comunità, i Responsabili della funzione aziendale dedicata alla gestione del rischio clinico, i professionisti del settore sanitario.
Gli errori conseguenti all’uso di abbreviazioni, acronimi, sigle e simboli possono interessare tutte le fasi di gestione del farmaco in ospedale e sul territorio.
Una brutta grafia, ad esempio, può rendere difficile la comprensione di una prescrizione e causare errori nella dispensazione e nella somministrazione di una terapia farmacologica. La prescrizione, tuttavia, risulta essere particolarmente critica, soprattutto la prescrizione verbale (compresa quella telefonica), che sebbene sconsigliata, viene tuttora utilizzata in alcune situazioni di emergenza/urgenza.
La prescrizione verbale (compresa quella telefonica) della terapia farmacologica è sconsigliata perché genera facilmente errori, ma qualora utilizzata deve essere: disciplinata in una procedura aziendale; limitata a situazioni di emergenza/urgenza predefinite (ad esempio, in Sala Operatoria, in Pronto Soccorso e in Terapia Intensiva); prevista per i pazienti, inseriti in Percorsi Diagnostico Terapeutici Assistenziali (PDTA), già presi in carico e visitati dal medico che ha fatto la diagnosi. La prescrizione verbale di farmaci antineoplastici è sempre vietata.
In accordo con le disposizioni adottate a livello nazionale in tema di gestione del rischio clinico, oltre alle indicazioni per la corretta prescrizione (completezza dei dati riferiti a data, paziente, farmaco, prescrittore, tracciabilità, responsabilità) occorre mettere in atto diversi interventi per standardizzare abbreviazioni, acronimi, sigle e simboli, che devono riguardare: le prescrizioni delle terapie farmacologiche, comunque redatte (scritte a mano, prestampate, elettroniche) con particolare attenzione a quelle pediatriche. In caso di scrittura a mano è necessario usare lo stampatello. Sono comprese le prescrizioni verbali (anche quelle telefoniche) permesse in determinate situazioni purché disciplinate in apposita procedura aziendale; la Scheda unica/Foglio unico di terapia in formato cartaceo e elettronico; la Scheda della Riconciliazione farmacologica in formato cartaceo e elettronico; la documentazione sanitaria utilizzata e prodotta durante le varie fasi di gestione del farmaco in ospedale e sul territorio inclusa la lettera di dimissione; le etichette utilizzate per le formulazioni galeniche, le preparazioni dei farmaci iniettabili, le miscele di nutrizione parenterale totale; la redazione dei Piani terapeutici; le istruzioni scritte per il paziente sulla gestione della terapia farmacologica, comprese quelle fornite dal Medico di medicina generale e dal Farmacista di comunità.
Per “standardizzare” l’uso di abbreviazioni, acronimi, sigle e simboli, le Regioni e le Province Autonome coordinano l’elaborazione di una procedura da far adottare ad ogni Azienda sanitaria e ne monitorano l’applicazione.
Le Aziende sanitarie, che già dispongono di una procedura sull’argomento, provvedono ad aggiornarla, in accordo con le Regioni e le Province Autonome, facendo riferimento ai contenuti della presente Raccomandazione.
La procedura deve riportare le informazioni su abbreviazioni, acronimi, sigle e simboli da “non utilizzare” e su ciò che va utilizzato in loro vece. E’ disponibile, in allegato, una Tabella con le indicazioni che devono essere prese in considerazione nella elaborazione o aggiornamento della procedura aziendale, alcune delle quali già comprese nelle Raccomandazioni ministeriali (n.1, n.7, n.12, n.14, n.17) per la prevenzione degli errori in terapia.
In particolare come viene riportato dalle linea guida del Ministero della Salute:
a)scrivere il nome del principio attivo per esteso (alcune abbreviazioni possono essere collegate a più farmaci dal nome simile) ed evitare sia gli acronimi (e nel caso si usino accompagnarne la descrizione come ad esempio 5-FU, 5-Fluoro Uracile) sia le formule chimiche.
Anche per farmaci prescritti in protocolli, scrivere tutti i nomi dei principi attivi per esteso, con la relativa posologia, evitando il solo
acronimo (ad esempio, CHOP indica il protocollo Ciclofosfamide, Doxorubicina, Vincristina e Prednisone); b) lasciare uno spazio tra nome e il dosaggio, in modo particolare per quei nomi (anche commerciali se ammessi nella procedura aziendale) che finiscono in l (elle) per evitare interpretazioni errate (ad esempio, Inderal 40 mg al posto di Inderal40mg che potrebbe essere confuso con Inderal
140 mg);
c) lasciare uno spazio tra il dosaggio e l’unità di misura (ad esempio, 10 mg e non 10mg in quanto la lettera m (emme) potrebbe essere confusa con lo zero;
d) usare per esteso “Unità” al posto di “U” e “unità” al posto di “u” nella scrittura manuale;
e) esprimere il dosaggio/superficie corporea come quantità totale del farmaco;
f) evitare sigle relative alla modalità d’azione, a meno che le stesse non siano riportate nella confezione del farmaco e ammesse nella procedura aziendale (ad esempio, SR=slow release) altrimenti si può specificare il significato tra parentesi;
g) usare i numeri arabi (ad esempio, 1, 2, 5, 10, 100, 500, 1.000) e non quelli romani (ad esempio, I, II, V, X, C, D, M);
h)non mettere lo zero terminale dopo la virgola per le dosi espresse da numeri interi (ad esempio, scrivere 1 mg invece che 1,0 mg in quanto potrebbe essere confuso con 10 mg);
i) scrivere sempre lo zero prima dei decimali inferiori ad un’unità (ad esempio, scrivere 0,5 g invece di ,5 g che può essere erroneamente
interpretato come 5 g se non viene letta la virgola) oppure trasformarli (ad esempio, scrivere 500 mg invece che ,5 g che può essere
erroneamente interpretato come 5 g se non viene letta la virgola); j) usare il punto per separare i tre zeri delle migliaia o usare parole come
1 milione per favorire la corretta interpretazione (ad esempio, 1000 unità
va scritto 1.000 unità, 10000 unità va scritto 10.000 unità);
k)specificare chiaramente la posologia evitando indicazioni generiche come “un cucchiaino”, “un misurino;
l) evitare schemi posologici ambigui, ma precisare, senza abbreviazioni e sigle, l’esatta periodicità dell’assunzione (ad esempio, “due volte al giorno” ha significato diverso per l’assunzione di un antibiotico da
somministrare ad intervalli determinati come “ogni 12 ore” rispetto ad un ntiacido da assumere a pranzo e a cena). Evitare sempre la dicitura “al bisogno”;
m) indicare, per i prodotti liquidi, la quantità di principio attivo riferita ad un’unità di preparato (ad esempio, mg/ml). Bisogna ricordare che la prescrizione di soluzioni deve consentire di individuare la dose del farmaco per ogni singola somministrazione, la concentrazione e il volume;
n) evitare l’uso delle frazioni (ad esempio, ½ compressa ovvero “metà compressa” può essere frainteso con 1 o 2 compresse) e sostituire, ove possibile, il farmaco con altra forma farmaceutica avente il dosaggio necessario;
o)scrivere le unità di misura secondo il sistema metrico decimale. Per le misure di capacità viene accettato il litro l (L) e sottomultipli:
scrivere, ad esempio, ml o mL e mai cc. Per quanto riguarda le unità di misura del peso, µg (sebbene presente nel
sistema metrico decimale) potrebbe essere confondente, come anche mcg, e quindi bisogna scrivere per esteso microgrammi;
p) evitare, nella scrittura manuale, i simboli + più; = uguale; ≤ minore o uguale; ≥ maggiore o uguale, in quanto possono essere confusi con numeri e quindi indicarli con le lettere;
q) evitare le abbreviazioni in latino (ad esempio, la dicitura os scambiata per occhio oppure orecchio sinistro) e quelle in lingua inglese;
r) per i farmaci in combinazione indicare il dosaggio di ognuno dei principi attivi.
Colpa Medica e Tutela del Malato
Gli elementi qualificanti della responsabilità medica
La responsabilità medica e gli elementi qualificanti.
La responsabilità medica è una species di responsabilità professionale, che fa riferimento all’esercizio di un’attività di carattere intellettuale. Gli elementi qualificanti sono: nella prestazione di un’opera intellettuale, improntata oltre che ai generali canoni di diligenza e prudenza, alle specifiche regole o c.d.leges artis del settore di riferimento del professionista (c.d. perizia); nella (tendenziale) autonomia e discrezionalità (specialiter tecnica) riconosciuta al professionista nell’esecuzione della prestazione, anche ove si inserisca in un rapporto di lavoro subordinato (su tutti l’esempio del medico dipendente dell’ente ospedaliero); nel carattere personale della prestazione ai sensi dell’art.2232 c.c.
Nell’ambito dell’esercizio dell’attività medica occorre distinguere la responsabilità gravante sulla struttura sanitaria da quella di cui è chiamato a rispondere il singolo medico, che ha posto in essere la condotta colposa causa di pregiudizio per il paziente.
In materia sanitaria per la configurabilità della responsabilità medica è necessario dimostrare che il sanitario abbia violato il dovere di diligenza su di lui incombente in relazione alla specifica attività esercitata ex art 1176 comma 2 c.c.
Di questi eventuali errori risponde anche la struttura sanitaria trattandosi di operato dei propri ausiliari necessari ex art 1228 c.c. Ne consegue che la clinica è chiamata a rispondere sia dei pregiudizi eziologicamente ricollegabili alle proprie inadempienze specifiche latu sensu alberghiere che a quelle eventualmente imputabili all’operato dei propri. A prescindere poi dalla qualificazione dell’obbligazione medica come di mezzi o di risultato, e della qualificazione della responsabilità del sanitario come extracontrattuale ovvero contrattuale per “contatto sociale” tra il paziente ed il sanitario nonché la struttura ove lo stesso si trova ad operare, occorre che venga provato l’inadempimento o l’inesatto adempimento del medico. (Tribunale Roma, Sezione 13 civile – Sentenza 1 febbraio 2018, n. 2292).
Può, invece, una struttura sanitaria rispondere dell’ operato del chirurgo anche se si limita a ospitarlo? A questa domanda ha risposto la sentenza del tribunale di Verona
Colpa Medica e Tutela del Malato
Colpa medica e riconoscimento del danno nell’intervento urgente: cosa dice la Cassazione
Nel 2003 un uomo con atto di citazione evocava in giudizio davanti al Tribunale di Foggia i sanitari per ottenere davanti ai giudici la responsabilità degli stessi, sia per il negligente adempimento delle obbligazioni riguardanti l’attività professionale, sia per l’omessa informazione relativa all’intervento chirurgico.
Il ricorrente deduceva a seguito di ricovero che i medici gli avevano diagnosticato un cancro della laringe e dopo il primo intervento, a causa di complicanze, ne erano seguiti altri tre, l’ultimo dei quali di laringectomia totale.
L’uomo riferiva che in seguito all’ultimo intervento, era stato trasferito in sala operatoria per una revisione della ferita, ma, invece, veniva effettuata l’asportazione totale della laringe con conseguenza di perdita della voce.
Il Tribunale di Foggia con sentenza del 5 Novembre del 2009 rigettava la domanda. Gli eredi contro tale decisione proponevano appello.
La corte d’Appello di Bari disponeva supplemento di consulenza, e con sentenza del 9 novembre 2016, accoglieva l’appello e dichiarava la responsabilità dei convenuti per la violazione degli obblighi riguardanti la corretta formazione del consenso informato.
Contro tale decisione proponeva ricorso per Cassazione la fondazione.
La Suprema Corte ribaltava il verdetto, dettando dei principi che circoscrivono le ipotesi risarcibili se manca un adeguato consenso informato.
I giudici, aggiungono, che l’informazione avrebbe dovuto riguardare le problematiche consequenziali e costituire il fondamento di una alleanza terapeutica tra medico e paziente: il bene tutelato è quello della libertà di autodeterminazione, bene del tutto diverso rispetto a quello della salute. Talaltro, la mancanza di consenso assume rilievo ai fini risarcitori quando siano configurabili conseguenze pregiudizievoli derivate dalla violazione del diritto fondamentale di autodeterminazione, a prescindere dalla lesione incolpevole della salute del paziente.
Alla luce di queste considerazioni la Cassazione cita le circostanze in cui, in assenza di un valido consenso informato, c’è il riconoscimento di un danno.
Il nostro caso rientra invece nell’ambito dell’intervento eseguito correttamente che il paziente avrebbe rifiutato se edotto sui “risvolti”. Talaltro, una domanda di danni non era stata formulata nell’atto di citazione, in quanto il paziente si era limitato a chiedere il risarcimento del danno non patrimoniale da invalidità temporanea assoluta, relativa e permanente, il danno morale e quello della capacità lavorativa specifica, oltre al danno esistenziale ed alla vita di relazione.
La Cassazione con la sentenza 31234/2018 depositata in cancelleria il 4 dicembre accoglie il ricorso della casa di cura e rigetta le domande proseguite dagli eredi.
Sentenza 31234/2018
Colpa Medica e Tutela del Malato
Intervento operatorio svolto in equipe: la posizione di garanzia
L’attività medica d’équipe è quella posta in essere con la partecipazione e la collaborazione di diversi sanitari che eseguono un intervento in gruppo. Il medico è responsabile penalmente non solo quando sbaglia in prima persona, ma anche quando l’errore viene commesso da un suo collega durante un intervento realizzato in «equipe medica» a cui entrambi partecipano.
In genere, la figura più a “rischio” è quella del capo équipe che, oltre a rispondere del proprio operato, assume anche una particolare posizione di garanzia nei confronti del paziente. L’ultima sentenza della Corte di Cassazione in tema di colpa medica, fa riferimento “nel caso di intervento operatorio svolto in equipe, il chirurgo è titolare di una posizione di garanzia nei confronti del paziente, che non è limitata all’ambito strettamente chirurgico, ma si estende al successivo decorso post-operatorio, con la conseguenza che è ravvisabile la sua responsabilità ove, terminato l’intervento, si sia allontanato senza avere affidato il paziente ad altri sanitari, debitamente edotti, in grado di seguire il decorso post operatorio (In applicazione di tale principio la S.C. ha annullato con rinvio la sentenza che aveva assolto dal reato di omicidio colposo due chirurghi che erano intervenuti in ausilio dei colleghi meno esperti sostituendosi agli stessi nella conduzione dell’intervento, e si erano poi allontanati, con successivo decesso della paziente per non essere stata trasferita in una struttura provvista di rianimazione”. (Corte di Cassazione, Sezione 4 penale, Sentenza 18 maggio 2018, n. 22007 – Data udienza 23 gennaio 2018).
In tema di responsabilità medica di carattere penale è fondamentale che il giudice accerti se e a quali condizioni ciascun componente dell’equipe debba farsi carico delle manchevolezze degli altri o se invece egli possa fare affidamento sulla corretta esecuzione dei compiti altrui. E’ intervenuta la Corte di cassazione sentenza 27314/2017
Colpa Medica e Tutela del Malato
Consenso informato del paziente e responsabilità medica
“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”. Così recita l’art. 32 della Costituzione, 1 comma. La salute costituisce un diritto fondamentale, trascende il singolo individuo e rientra nel patrimonio sociale comune, la cui lesione impone il risarcimento del danno a prescindere dalla capacità del danneggiato di produrre reddito.
Il paziente deve ricevere le informazioni adeguate per le cure a cui sarà sottoposto. A tal proposito, viene in soccorso del paziente la disciplina del consenso informato, fondata sull’idea che un intervento medico non può considerarsi lecito se prima il paziente non ha ricevuto dai medici le informazioni riguardanti la sua patologia e i trattamenti a cui sarà sottoposto e non ha dato il suo consenso libero e consapevole alle cure.
Necessario che il paziente possa comprendere delle indicazioni di eventuali alternative terapeutiche, del rischio di possibili complicanze e delle eventuali carenze di dotazioni strutturali della struttura sanitaria. Sul consenso informato puoi leggere quest’articolo.
In tema di responsabilità professionale del medico, in presenza di un atto terapeutico necessario e correttamente eseguito in base alle regole dell’arte, dal quale siano tuttavia derivate conseguenze dannose per la salute, ove tale intervento non sia stato preceduto da un’adeguata informazione del paziente circa i possibili effetti pregiudizievoli non imprevedibili, il medico può essere chiamato a risarcire il danno alla salute solo se il paziente dimostri, anche tramite presunzioni, che, ove compiutamente informato, egli avrebbe verosimilmente rifiutato l’intervento, non potendo altrimenti ricondursi all’inadempimento dell’obbligo di informazione alcuna rilevanza causale sul danno alla salute. (Corte di Cassazione – Sezione 3 civile – Ordinanza 15 giugno 2018, n. 15749).
Colpa Medica e Tutela del Malato
Ogni cittadino ha diritto a un medico di base. Ecco le prestazioni che ti spettano
Ogni cittadino iscritto al Servizio sanitario nazionale (Ssn) ha diritto a un medico di base o medico di famiglia.
Il medico di famiglia è il professionista che conosce bene il nostro stato di salute e, quando si presenta la necessità, ci guida in tutto il percorso terapeutico all’interno delle strutture del Ssn.
Il rapporto tra il medico di famiglia e il SSN è regolato da Accordi collettivi nazionali e regionali.
Il medico di famiglia assicura le seguenti prestazioni:
- visita medica ambulatoriale e domiciliare
- prescrizione di farmaci, richieste di visite specialistiche e di accertamenti diagnostici sia strumentali che di laboratorio (attraverso la cosiddetta impegnativa o ricetta rossa)
- proposte di ricovero ospedaliero
- proposte di cure domiciliari alternative al ricovero
- rilascio gratuito dei seguenti certificati medici previsti dagli Accordi nazionali:
- certificati di riammissione a scuola
- certificazione di idoneità allo svolgimento di attività sportiva non agonistica solo in ambito scolastico
- certificati di malattia per i lavoratori. Per quanto riguarda i certificati di malattia, dal 2011 con la nuova procedura, il medico, entro 24 ore dalla visita è tenuto ad inviare il certificato di malattia online direttamente all’INPS.
La procedura per l’invio online dei certificati di malattia riguarda tutti i lavoratori dipendenti, sia privati che pubblici, eccetto i dipendenti del settore pubblico disciplinati da propri ordinamenti (forze armate e di polizia, magistrati, vigili del fuoco ecc.) ai quali può essere rilasciato un certificato di malattia in carta bianca intestata, anche da parte di un medico libero professionista.
Il medico, inoltre, esegue gratuitamente le seguenti prestazioni:
- a discrezione, alcune prestazioni di particolare impegno professionale, ad esempio suture di ferite superficiali, rimozione di punti di sutura e medicazioni, vaccini desensibilizzanti, fleboclisi ecc.
- le visite ambulatoriali e domiciliari occasionali a persone affette da particolari patologie.
A pagamento le seguenti prestazioni:
- prestazioni non comprese nei compiti e nelle attività previste dall’ accordo collettivo nazionale dei medici di medicina generale ovvero prestazioni richieste e svolte in fasce orarie notturne prefestive e festive
- le visite ambulatoriali e domiciliari occasionali effettuate da un medico di famiglia che non è il proprio.
Il medico di famiglia, come riportato anche sul portale del ministero della Salute è tenuto all’adesione alle aggregazioni funzionali e alle unità complesse delle cure primarie e alle altre forme associative di svolgimento dell’attività. Se non hai ricevuto le giuste cure contatta il nostro studio.
Colpa Medica e Tutela del Malato
Colpa medica dell’anestetista. Le responsabilità del sanitario
Il medico anestesista risultava imputato per il delitto di cui all’art. 589 c.p.,in cooperazione colposa con altri medici di un ospedale pediatrico, nell’anno 2007, nel tentativo di incannulare le vene del collo del piccolo paziente, perforava la cupola pleurica, cosi’ provocando un sanguinamento che determinava il decesso del bambino.
Il sanitario veniva condannato in primo grado, assolto poi in secondo grado con la formula “perché il fatto non sussiste” ed infine prosciolto per prescrizione del reato dalla Suprema Corte, adita dal Procuratore Generale e dalle Parti Civili, nella sentenza n° 33405/18.
Veniva rilevato dal Procuratore Generale, nel ricorso per cassazione avverso la sentenza di secondo grado che l’intervento era programmato e non avvenne in via di urgenza, e le condizioni generali del paziente erano discrete, con buona ossigenazione, come emerge dal diario infermieristico. Il bambino non versava, dunque, in condizioni critiche, come hanno affermato tutti i consulenti medico-legali intervenuti nella vicenda e come e’ confermato sia dalle testimonianze dei genitori che dalle dichiarazioni del coimputato.
Soltanto dopo l’infruttuoso tentativo, da parte del sanitario di incannulare la giugulare interna si verifico’ l’insorgenza di difficolta’ respiratorie del paziente e le sue condizioni generali divennero critiche. E il consulente autoptico ha affermato, al riguardo, che e’ raccomandabile non ripetere la manovra dopo due tentativi falliti e che la morte del piccolo paziente deve ascriversi ad una censurabile condotta di colui che, allorquando risulto’ infruttuoso l’accesso chirurgico posto in essere al livello della regione prossimale della coscia sinistra, con isolamento della vena safena prossimale, provo’ a reperire altra vena sia agli arti che in giugulare interna. La prova in giugulare interna fu produttiva infatti di un emotorace bilaterale, a cui rapportare la morte.
Di tenore analogo le argomentazioni contenute nel ricorso delle parti civili, le quali evidenziano, in particolare, come dalla consulenza autoptica collegiale espletata, su incarico del pubblico ministero, emerga che il prodursi dell’emotorace denota la scarsa perizia dell’operatore che provo’ reiteratamente a reperire altra vena.
Bisogna pur dire che dal 2007 ad oggi si siano succedute ben tre normative. Nel 2007 l’ordinamento non dettava alcuna particolare prescrizione in tema di responsabilita’ medica. Erano dunque applicabili i principi generali in materia di colpa, alla stregua dei quali il sanitario era penalmente responsabile, ex articolo 43 c.p., quale che fosse il grado della colpa. Era indifferente, ai fini della responsabilita’, che il medico versasse in colpa lieve o in colpa grave. Nel 2012 entro’ in vigore il Decreto Legge 13 settembre 2012, n. 158, convertito in L. 8 novembre 2012, n. 189, (cosiddetta legge Balduzzi), il quale all’articolo 3, comma 1, stabiliva che l’esercente la professione sanitaria che, nello svolgimento della propria attivita’, si attenesse alle linee-guida e alle buone pratiche accreditate dalla comunita’ scientifica non dovesse rispondere penalmente per colpa lieve. E’ poi, di recente, entrata in vigore la L. 8 marzo 2017, n. 24, (c.d. legge Gelli-Bianco), la quale, all’articolo 6, ha abrogato il predetto Decreto Legge n. 158 del 2012, articolo 3, e ha dettato l’articolo 590 sexies c.p., attualmente vigente. Occorre dunque stabilire quale sia il regime applicabile al caso di specie.
Nella sentenza n° 33405/18, la Suprema Corte evidenzia che in tema di negligenza ed imprudenza con configurazione di colpa lieve, la Balduzzi è certamente più favorevole al reo, atteso che in tali casi risulta esclusa la penale responsabilità del sanitario, allorquando egli abbia rispettato le linee guida ovvero le buone pratiche; per converso, in caso di imperizia, la Gelli Bianco risulta più conforme al principio del favor rei.
Responsabilità medica Sentenza 18 luglio 2018, n. 33405 – Data udienza 13 aprile 2018
Colpa Medica e Tutela del Malato
Struttura risponde dell’operato dl chirurgo
Può una struttura sanitaria rispondere dell’ operato del chirurgo anche se si limita a ospitarlo? A questa domanda ha risposto una sentenza del Tribunale di Verona del 22 giugno scorso, che si è occupata della responsabilità derivante da un intervento di mastoplastica che, tra le varie cose, era stato condotto da un medico che aveva vantato una specializzazione mai conseguita. Ebbene, per i giudici, se il sanitario ha assunto l’obbligazione contrattuale direttamente con la paziente, la struttura può essere chiamata a rispondere dell’ operato del chirurgo solo per inadempimento dei doveri che derivano dal contratto di spedalità. Il caso in questione ha visto coinvolta una donna che, dopo essersi sottoposta, in passato, ad una mastoplastica additiva, aveva deciso di tornare sui propri passi. Da qui la decisione di incaricare il chirurgo in questione di ridurre il volume del seno. La donna, insoddisfatta del risultato, ha deciso di citare in giudizio il professionista e la struttura dove l’intervento si è svolto, chiedendo di essere risarcita per il danno patrimoniale e non patrimoniale patito segnalando di aver tra l’altro appreso, solo successivamente al trattamento, che il chirurgo aveva vantato una specialità in chirurgia plastica invece mai conseguita. La domanda fatta nei confronti del sanitario è stata accolta quanto al danno non patrimoniale biologico e morale, tenuto conto anche della significativa importanza che la paziente riconosceva al proprio aspetto fisico. Nel caso di specie, però, il giudice ha esonerato la struttura sanitaria dalla responsabilità per l’operato del chirurgo. Questo perché la stessa si era limitata a dare ospitalità al medico, dopo che il chirurgo aveva preso accordi diretti con la paziente circa l’intervento. Per questo, in particolare, era stato chiamato a rispondere a titolo contrattuale. In merito alla natura eccezionalmente contrattuale della responsabilità del medico la decisione assunta dal Tribunale di Verona non ha suscitato grandi perplessità. Questo perché nel corso del giudizio era stato accertato che il medico aveva assunto la sua obbligazione nei confronti della paziente autonomamente e prima dell’accesso nella struttura dove si era poi svolto l’intervento. Si tratta, quindi, di un caso in cui il medico ha agito “nell’adempimento di obbligazione contrattuale assunta con il paziente”. Le perplessità che rendono controversa la sentenza in questione, riguardano la decisione dei giudici di esonerare la struttura sanitaria da qualsivoglia forma di responsabilità per l’ operato del chirurgo. Il Tribunale di Verona, infatti, è giunto a tale conclusione ritenendo che, in un caso come questo, nei confronti della struttura avrebbero rilevato esclusivamente gli addebiti inerenti alle prestazioni che la stessa eroga direttamente, con esclusione, quindi, di quella specialistica del trattamento chirurgico. In sostanza, la struttura poteva essere chiamata a rispondere solo se la paziente avesse lamentato anche l’inadempimento dei doveri che derivano dal contratto di spedalità e degli obblighi latu sensu alberghieri.