Colpa medica dell’anestetista. Le responsabilità del sanitario

Il medico anestesista risultava imputato per il delitto di cui all’art. 589 c.p.,in cooperazione colposa con altri medici di un ospedale pediatrico, nell’anno 2007, nel tentativo di incannulare le vene del collo del piccolo paziente, perforava la cupola pleurica, cosi’ provocando un sanguinamento che determinava il decesso del bambino.

Il sanitario veniva condannato in primo grado, assolto poi in secondo grado con la formula “perché il fatto non sussiste”  ed infine prosciolto per prescrizione del reato dalla Suprema Corte, adita dal Procuratore Generale e dalle Parti Civili, nella sentenza n° 33405/18.

Veniva rilevato dal Procuratore Generale, nel ricorso per cassazione avverso la sentenza di secondo grado che l’intervento era programmato e non avvenne in via di urgenza, e le condizioni generali del paziente erano discrete, con buona ossigenazione, come emerge dal diario infermieristico. Il bambino non versava, dunque, in condizioni critiche, come hanno affermato tutti i consulenti medico-legali intervenuti nella vicenda e come e’ confermato sia dalle testimonianze dei genitori che dalle dichiarazioni del coimputato.

Soltanto dopo l’infruttuoso tentativo, da parte del sanitario di incannulare la giugulare interna si verifico’ l’insorgenza di difficolta’ respiratorie del paziente e le sue condizioni generali divennero critiche. E il consulente autoptico ha affermato, al riguardo, che e’ raccomandabile non ripetere la manovra dopo due tentativi falliti e che la morte del piccolo paziente deve ascriversi ad una censurabile condotta di colui che, allorquando risulto’ infruttuoso l’accesso chirurgico posto in essere al livello della regione prossimale della coscia sinistra, con isolamento della vena safena prossimale, provo’ a reperire altra vena sia agli arti che in giugulare interna. La prova in giugulare interna fu produttiva infatti di un emotorace bilaterale, a cui rapportare la morte.

Di tenore analogo le argomentazioni contenute nel ricorso delle parti civili, le quali evidenziano, in particolare, come dalla consulenza autoptica collegiale espletata, su incarico del pubblico ministero, emerga che il prodursi dell’emotorace denota la scarsa perizia dell’operatore che provo’ reiteratamente a reperire altra vena.

Bisogna pur dire che dal 2007 ad oggi si siano succedute ben tre normative. Nel 2007 l’ordinamento non dettava alcuna particolare prescrizione in tema di responsabilita’ medica. Erano dunque applicabili i principi generali in materia di colpa, alla stregua dei quali il sanitario era penalmente responsabile, ex articolo 43 c.p., quale che fosse il grado della colpa. Era indifferente, ai fini della responsabilita’, che il medico versasse in colpa lieve o in colpa grave. Nel 2012 entro’ in vigore il Decreto Legge 13 settembre 2012, n. 158, convertito in L. 8 novembre 2012, n. 189, (cosiddetta legge Balduzzi), il quale all’articolo 3, comma 1, stabiliva che l’esercente la professione sanitaria che, nello svolgimento della propria attivita’, si attenesse alle linee-guida e alle buone pratiche accreditate dalla comunita’ scientifica non dovesse rispondere penalmente per colpa lieve. E’ poi, di recente, entrata in vigore la L. 8 marzo 2017, n. 24, (c.d. legge Gelli-Bianco), la quale, all’articolo 6, ha abrogato il predetto Decreto Legge n. 158 del 2012, articolo 3, e ha dettato l’articolo 590 sexies c.p., attualmente vigente. Occorre dunque stabilire quale sia il regime applicabile al caso di specie.

Nella sentenza n° 33405/18, la Suprema Corte evidenzia che in tema di negligenza ed imprudenza con configurazione di colpa lieve, la Balduzzi è certamente più favorevole al reo, atteso che in tali casi risulta esclusa la penale responsabilità del sanitario, allorquando egli abbia rispettato le linee guida ovvero le buone pratiche; per converso, in caso di imperizia, la Gelli Bianco risulta più conforme al principio del favor rei.

Responsabilità medica Sentenza 18 luglio 2018, n. 33405 – Data udienza 13 aprile 2018