Privacy clienti

avvocato-gratisLegittima la sanzione dell’avvertimento per gli avvocati che pubblicano sul sito internet del loro studio il nominativo dei clienti, dopo avere ottenuto il loro consenso. Secondo i legali l’elenco era lecito per effetto dell’allargamento delle maglie sulla pubblicità dei professionisti dopo il decreto Bersani. La Cassazione ricorda però, sentenza n. 9861 delle Sezioni unite civili depositata ieri, la peculiarità della professione e il dovere di riservatezza anche per “proteggere” l’attività processuale. La difesa aveva fatto valere l’effetto di abrogazione, per effetto delle norme del 2006, su tutti i precedenti divieti di pubblicità, ritenendo che fossero venuti meno anche i paletti che impedivano di rendere noti i nominativi dei clienti, sia quelli assistiti in maniera continuativa sia quelli assistiti per progetti specifici. Di tutt’altro parere invece era stato il Cnf, per il quale il divieto previsto nella vecchia, e anche nella successiva, versione del codice deontologico doveva essere ritenuta ancora pienamente operativa. La Cassazione osserva che l’elevato valore pubblicistico dell’attività forense «spiega perchè il rapporto tra il professionista e il cliente (attuale o potenziale) rimanga in buona parte scarsamente influenzabile dalla volontà e dalle considerazioni personali (o dalle valutazioni economiche) degli stessi protagonisti e come possa pertanto non risultare dirimente, nel senso di escludere il relativo divieto, il consenso prestato dai clienti del medesimo avvocato alla diffusione dei propri nominativi a fini pubblicitari». Quello tra cliente e avvocato, prosegue la sentenza, non può allora essere solo ricondotto a una logica di mercato, tanto che la legge non considera da sole decisive le manifestazioni di volontà di entrambi nemmeno per quanto riguarda l’inzio e la fine dello stesso rapporto. Nel processo penale, pertanto, è imposto all’imputato, che ne sia sprovvisto, un avvocato d’ufficio, il quale, a sua volta, ha l’obbligo di accettare l’incarico. E ancora, nel processo civile, nè la revoca nè la rinuncia privano di per sè il difensore della capacità di compiere o ricevere atti.  È proprio lo stretto collegamento tra attività libero professionale ed esercizio della giurisdizione che, per la Cassazione sta alla base della necessità di adottare la massima cautela sul tema pubblicità. A non volere tenere conto poi, avverte ancora la pronuncia, che la pubblicità dei nominativi dei clienti degli avvocati (oltretutto in abbinata con le informazioni sulle diverse ferme di specializzazione professionale e le caratteristiche del servizio offerto dal legale) potrebbe alla fine riguardare anche l’attività processuale svolta a loro difesa. Con un potenziale impatto quindi su processi in corso che ne potrebbero uscire in qualche modo influenzati. Il rapporto tra cliente e avvocato non è infatti soltanto un rapporto privato di carattere libero professionale e non può perciò essere ricondotto puramente e semplicemente a una logica di mercato, basti pensare che il legislatore non ritiene “determinanti” le manifestazioni di volontà espresse dalle stesse parti neppure per quanto riguarda l’inizio o la cessazione del rapporto medesimo: nel processo penale è “imposto” all’imputato che non ne sia provvisto un avvocato d’ufficio, il quale, dal canto suo, salvo che non abbia valide ragioni per rifiutare, ha l’obbligo di accettare l’incarico.
Corte di cassazione, Sezioni unite civili, sentenza 19 aprile 2017 n. 9861