CyberCrime

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La rivoluzione tecnologica dell’ultimo ventennio ha influenzato la maggior parte delle attività umane, coinvolgendo ogni aspetto sociale e giuridico dei consociati, di tipo lavorativo, politico, privato, pubblicistico. Alla carica innovatrice e rivoluzionaria del fenomeno Internet, certamente non sfugge la più alta forma di attività umana, che ogni cosa ricomprende, ovvero il diritto, considerato come ordinamento del sociale. L’avvento dell’era digitale, in particolare sul piano del diritto penale sostanziale, ha determinato una trasformazione nella fisionomia delle tradizionali forme di criminalità, inducendo altresì una crescita esponenziale della frequenza con cui, grazie all’uso dello strumento informatico, sono perpetrati gli illeciti comuni. Ma i nodi più problematici della “rivoluzione digitale” si devono sciogliere da una prospettiva strettamente processuale e si riscontrano nel fatto che la prova, nella sub-specie documentale, finisce ormai quasi sempre nell’annidarsi in dispositivi di memorizzazione virtuale delle informazioni. Il computer, in senso lato, ha acquisito, al giorno d’oggi, una importanza sempre maggiore quale fonte probatoria rispetto a qualunque forma di processo penale, dalle indagini previste per i reati associativi legati alla criminalità organizzata a quelle previste per i casi di terrorismo internazionale, sino ai casi di omicidio, smettendo di rilevare esclusivamente quale elemento costitutivo della fattispecie o come mezzo attraverso il quale viene realizzato l’illecito. Tutto questo ha prodotto difficoltà di contrasto sempre maggiori in capo alle autorità investigative, in diretta correlazione con le infinite potenzialità di Internet e del Cyberspazio. Tali crescenti difficoltà, al fine di rimanere al passo con i tempi, hanno sollecitato gli inquirenti a spingersi oltre le frontiere tradizionali dell’investigazione, spesso eccedendo il limite che in uno Stato di diritto è rappresentato dal rispetto delle garanzie individuali e costituzionali. Lo scontro tra nuove metodologie investigative e nuove forme di criminalità, all’interno del processo penale, si traduce nello sforzo continuo da parte del legislatore e degli interpreti di mediare due essenziali ma contrapposte esigenze: l’accertamento del fatto e la tutela dei diritti fondamentali degli individui coinvolti in tale accertamento. Il punctum dolens è sempre lo stesso: saper trovare un giusto equilibrio tra tutela della società e rispetto dei principi fondamentali della persona. A proposito di digital evidence, si deve porre all’attenzione dell’interprete il concreto pericolo di malleabilità della materia e della possibile alterazione delle fonti di prova, visto l’elevato grado di tecnicità che connota l’intera sedes materiae. Il rischio è quello di una incontrollata ingerenza nel diritto alla privacy degli individui: l’interprete è tenuto a verificare con rigore la compatibilità degli strumenti offerti dal progresso scientifico rispetto ai principi cardine del processo penale, in primis con l’art.25 della Costituzione Repubblicana del ‘48, in secundis con l’esigenza di garanzia del diritto di difesa, inviolabile in ogni stato e grado del procedimento. Il sistema penale italiano, a seguito dell’entrata in vigore della legge 18 marzo 2008, n.48 di ratifica della Convenzione di Budapest sul cybercrime, sembra aver acquisito una consapevolezza maggiore riguardo alla rilevanza di tale tematica, in modo da fronteggiare con disposizioni puntuali e uniformi alle discipline degli altri Paesi europei, i fenomeni emergenti di criminalità informatica. D’altronde, come spesso accade, tutti i tentativi finora portati avanti, si sono rivelati appena sufficienti e non esaustivi, deludendo quelle che erano le più rosee aspettative di molti. È evidente che la scelta del legislatore di conferire un così ampio spazio di discrezionalità al giudice nella regolamentazione di una materia così complessa e delicata, è opinabile e soggetta a critiche, in quanto incauta, per non dire azzardata. Tra i più autorevoli, c’è chi auspica, quindi, nuovi interventi del legislatore, nella speranza che tale impasse possa risolversi rapidamente; cosa più che condivisibile, del resto, se il rispetto dei principi costituzionali rimane il primum movens da salvaguardare.