Trattamento di Fine Rapporto

Risultati immagini per immagini gratis TFRIl lavoratore che abbia cessato il rapporto di lavoro a chi può chiedere la corresponsione del Trattamento di Fine Rapporto? È il datore di lavoro o l’Inps ha dover corrispondere la somma accumulata dal lavoratore nel corso del suo contratto? A chiarire il tutto è intervenuta la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 7924/2017, pubblicata il 28 marzo 2017. Secondo la Sezione Lavoro della Suprema Corte, in particolare, sono tassativi i casi in cui sia l’Inps ad essere tenuto a corrispondere il Trattamento di Fine Rapporto ai lavoratori, attingendo al Fondo di garanzia istituito presso di sé. La disciplina legislativa relativa a ciò è contenuta all’interno della legge 29 maggio 1982 n. 207: quest’ultima attribuisce all’Inps il compito di garantire il trattamento di fine rapporto dei lavoratori rimasti insoddisfatti, proprio attraverso il Fondo di Garanzia. La norma contempla sia i casi in cui le società coinvolte siano sottoposte a procedure concorsuali, sia quelli in cui ciò non si verifichi. Ma la soluzione non è così immediata, come hanno confermato gli stessi Ermellini. Infatti, affinchè l’Inps si sostituisca al datore di lavoro nella liquidazione del Trattamento di Fine Rapporto devono ricorrere condizioni ben precise, e nello specifico: O si verifica l’eventualità per la quale la società del datore di lavoro sia assoggettata ad una procedura concorsuale: in questo caso il lavoratore deve aver cessato il rapporto di lavoro, aver tentato l’esecuzione nei confronti del datore di lavoro, che si è invece rivelato inadempiente anche parzialmente. Ciò deve essere attestato con una dichiarazione diinsolvenza, nonché tramite la verifica dell’esistenza e dell’ammontare del credito in sede fallimentare. Oppure si verifica l’eventualità per la quale il datore di lavoro non sia assoggettabile alla procedura di fallimento: in questo caso, oltre a dover essere cessato il rapporto di lavoro, il lavoratore deve anche dimostrare che la sua controparte contrattuale sia inadempiente, in quanto disponga di garanzie patrimoniali insufficienti, totalmente o parzialmente. La prova di ciò deve necessariamente  essere costituita dall’esito infruttuoso di un’azione esecutiva intrapresa in prima battuta nei confronti del datore di lavoro, che possa così dare diritto al soggetto istante di rivendicare la somma da parte dell’Inps. In virtù di tali considerazioni, appare davvero essenziale che il lavoratore coinvolto sia consapevole della tipologia di azione che si appresta ad intraprendere, soprattutto in relazione alla durata complessiva del procedimento che, probabilmente, condurrà all’ottenimento del Tfr guadagnato. Il caso sottoposto all’attenzione della Corte riguardava alcuni lavoratori che avevano convenuto in giudizio l’Inps per il pagamento del Tfr non perfezionatosi da parte del loro datore di lavoro. In particolare, gli stessi allegavano prova del deposito dell’istanza di fallimento nei confronti della società, di cui però gli amministratori risultavano irreperibili, circostanze che avevano comportato l’infruttuosità dell’esecuzione forzata. L’Inps aveva impugnato sia la sentenza di I che quella di II grado, ottenendo i risultato voluto solo in Cassazione, che da ultima ha riscontrato la mancanza delle condizioni di procedibilità nei confronti dell’Inps per il pagamento del Tfr dal Fondo di garanzia.

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