Avvocati e deontologia

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La Cassazione a Sezioni Unite è intervenuta a risolvere definitivamente la delicata questione deontologica sorta tra il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati (C.O.A.) di Macerata ed uno studio legale, il quale aveva riportato nel proprio sito internet l’elenco dei nominativi dei principali clienti assistiti, avendo ottenuto il loro consenso. La Cassazione ha confermato il divieto per gli avvocati di pubblicare, pubblicizzandosi, i nomi dei propri clienti. L’intervento del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Macerata Il COA di Macerata, rilevando la violazione degli articoli 6 e 17 del codice deontologico professionale forense (rispettivamente, dovere di fedeltà ed informazioni sull’attività professionale), aveva in via sanzionatoria emanato un avvertimento per lo studio. A seguito del rigetto del proprio ricorso davanti al Consiglio Nazionale Forense, lo studio ha proposto gravame avanti le Sezioni Unite della Cassazione, denunciando la violazione del combinato disposto degli artt. 6 e 17 del codice deontologico forense e D.L. n. 223 del 2006, articolo 2, anche detto “Decreto Bersani”. Lo studio riteneva legittima la pubblicazione dei nominativi in virtù del fatto che l’articolo 2 del sopracitato Decreto elimina, con riferimento alle attività libero professionali e intellettuali, “il divieto di pubblicizzare i titoli e le specializzazioni professionali, le caratteristiche del servizio offerto e il prezzo delle prestazioni”. E, secondo lo studio, la dicitura “caratteristiche del servizio offerto” includerebbe anche i nominativi dei clienti. La Cassazione ha respinto il ricorso dello studio legale. Innanzitutto, l’esclusione del divieto di rendere pubblici i nominativi dei clienti e’ solo frutto di un’ampia interpretazione, fatta dallo studio, del concetto di pubblicità informativa circa “le caratteristiche del servizio offerto”: tale esclusione non è infatti espressamente prevista dal decreto citato. A conferma di ciò, la previsione del codice deontologico contenente il divieto è rimasta immutata anche dopo l’entrata in vigore del Decreto Bersani. La Corte sottolinea poi che la relazione intercorrente tra cliente e avvocato non è un semplice rapporto privato di carattere libero-professionale, “riconducibile ad una semplice e pura logica di mercato”, ma, interagendo con interessi come giustizia e difesa dei diritti, gode di/ha un elevato valore pubblicistico. Per la stretta connessione tra l’attività libero-professionale dell’avvocato e l’esercizio della giurisdizione è imposta, quindi, una maggiore cautela in materia. Infine, la pubblicità circa i nominativi dei clienti potrebbe finire, di fatto, per riguardare non solo i nominativi dei clienti dell’avvocato, ma anche l’attività processuale svolta in loro difesa, magari in uno o più processi ancora in corso, col rischio, in alcuni casi, che intercorrano indirette interferenze per tale forma di pubblicità. Si pensi, per esempio, secondo le Sezioni Unite, a processi per partecipazione ad associazioni di tipo mafioso, in cui il cliente potrebbe autorizzare la diffusione del proprio nominativo non tanto per fare pubblicità al proprio legale quanto per lanciare messaggi ad eventuali complici circa la linea difensiva da seguire o il difensore da scegliere.

(Corte di Cassazione – Sezioni Civili Unite, Sentenza 19 aprile 2017, n. 9861)