Responsabilità solo con errore tecnico

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Non sussiste una responsabilità medica quando il decorso negativo dell’operazione non sia dipeso da un intervento tecnicamente sbagliato. Lo ha stabilito la Cassazione (sentenza 15656, depositata il 23 giugno), prendendo in esame il caso di una paziente sottoposta a un intervento chirurgico al Sant’Anna di Torino.
Avendo constatato – a qualche mese dall’operazione – un aggravamento della patologia da cui era affetta e l’insorgenza di nuove patologie, la donna aveva presentato al Tribunale del capoluogo piemontese una istanza volta ad accertare le responsabilità dell’Azienda ospedaliera e dei medici coinvolti nell’intervento. Domanda respinta tanto dal Tribunale, quanto dalla Corte di appello, secondo un orientamento che è stato accolto anche dalla Cassazione, con la sentenza depositata. A far fede – secondo le toghe della Suprema Corte – è la consulenza tecnica d’ufficio dei periti, i quali hanno ritenuto che l’intervento sia stato effettuato in modo “adeguato, corretto e tecnicamente appropriato” e che gli esiti peggiorativi e invalidanti subentrati successivamente, non derivassero da una scorretta esecuzione tecnica dell’intervento, ma da una complicanza descritta nella procedura chirurgica con una contenuta incidenza, non prevedibile. Nel ricorso la ex paziente aveva inoltre ridimensionato il valore del consenso firmato e lamentato il fatto di non essere stata adeguatamente informata dei rischi cui sarebbe andata incontro, sottoponendosi all’operazione. Una serie di informazioni che – se acquisite – l’avrebbero a suo dire scoraggiata dall’intraprendere l’intervento. Non la pensano così i giudici di Cassazione: come già attestato dalla Corte territoriale, il consenso informato firmato dalla donna era regolare ed era stato sottoscritto dalla ricorrente il giorno prima dell’intervento. Esso, inoltre, conteneva indicazioni specifiche del trattamento chirurgico che le sarebbe stato praticato. Contestata anche l’accusa – mossa dalla ricorrente – di “vizio di violazione e falsa applicazione di norme di diritto”. Secondo la giurisprudenza più consolidata – ricordano infatti i giudici – tale vizio implica necessariamente “un problema interpretativo”. E non è questo il caso.