Autodeterminazione terapeutica

computer-1149148_1920A stabilirlo i giudici con la sentenza 3058 del 26/06/2017 sul ricorso n. 6302 del 2016, proposto dalla Regione Lombardia, riguardo “il risarcimento del danno causato dal provvedimento regionale di diniego della adozione delle misure necessarie per l’attuazione del decreto della Corte d’Appello di Milano del 9 luglio 2008, riguardante il diritto dell’assistita al rifiuto del trattamento terapeutico in atto, comprensivo del sostegno vitale artificiale”. Si era chiesto che la Regione mettesse a disposizione una struttura per il distacco del sondino naso-gastrico adibito all’alimentazione e idratazione artificiale di una paziente in stato di coma vegetativo permanente e in cura presso una struttura sanitaria pubblica regionale. La Regione però pur manifestando sentimenti di solidarietà e vicinanza al tutore della paziente per quanto stava accadendo alla sua famiglia, aveva respinto la richiesta esponendo la motivazione della obbligatorietà dell’assistenza di base, nutrizione, idratazione e accadimento. In particolare, negli hospice possono essere accolti solo malati in fase terminale. Secondo la Corte quindi il rifiuto assoluto, espresso dalla Regione Lombardia e delle strutture sanitarie da essa programmate e coordinate nell’ambito del servizio pubblico, a collaborare all’esecuzione di un provvedimento giurisdizionale esecutivo, doveva ritenersi, quindi, gravemente illegittimo. La Regione in qualità di ente istituzionalmente e costituzionalmente competente per i servizi sanitari aveva la responsabilità di assicurare le cure e, dunque, anche l’eventuale interruzione delle stesse erano in carico al Servizio Sanitario Regionale. Rifiutare il trattamento terapeutico, comprensivo del sostegno vitale artificiale è quindi un diritto. Il Collegio ritiene che la salute dell’individuo non può essere oggetto di imposizione autoritativo-coattaiva nonostante sia sempre stato prospettato un obbligo a prendersi cura della propria salute o  l’impossibilità a sottrarsi a qualche trattamento. Di fronte al rifiuto della cura da parte del diretto interessato c’è spazio per quella che viene definita “strategia della persuasione”. All’interno dell’alleanza terapeutica che unisce medico e paziente alla ricerca della soluzione ottimale per entrambi, esiste questo spazio in cui l’ordinamento ha il compito di offrire il supporto della massima solidarietà concreta nelle situazioni di debolezza e di sofferenza. Qualora si verifichino casi di rifiuto del trattamento è necessario verificare che sia informato, autentico ed attuale. Se soddisfa le caratteristiche non esiste possibilità di disattenderlo appellandosi al dovere di curarsi come principio di ordine pubblico. Nessun limite dunque se da tale rifiuto consegue il sacrificio del bene della vita.