Corte Europea e prescrizione

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La Corte Ue entra a gamba tesa su uno dei cardini del nostro diritto penale, la prescrizione. E, con le conclusioni dell’Avvocato generale depositate ieri nel caso Taricco (causa C-42/17), prende una posizione netta: chi commette un reato deve anche potere sapere, sulla base del principio di legalità, la condotta penalmente rilevante, la sanzione relativa, ma anche il limite di tempo entro il quale il procedimento potrà essere iniziato a suo carico. Però, ed è questo il passaggio più rilevante, quando entro il termine previsto il procedimento è iniziato, allora la persona interessata non deve più potere contare sulla prescrizione iniziale che ormai si è interrotta. A quel punto, deve prevalere sul diritto interno un concetto uniforme di interruzione della prescrizione, secondo il quale ogni atto d’imputazione oppure ogni atto che ne rappresenta la prosecuzione, interrompe il termine, cancellandolo, e sostituendolo con un nuovo termine di durata identica, calcolato a partire dal compimento dell’atto interruttivo. Soluzione abbastanza dirompente, se calata nel nostro ordinamento. Sotto una pluralità di punti di vista. A partire dalla prevalenza del diritto comunitario, come interpretato dalla Corte, su quello nazionale su un punto cardine del diritto penale sostanziale, portando a una disapplicazione in possibile contrasto con i principi supremi dell’ordine costituzionale. Forti infatti erano state le perplessità della stessa Corte costituzionale che, per la seconda volta nella storia, si era rivolta appunto alla Corte Ue per un chiarimento sulla necessità della disapplicazione. Necessità che adesso sono ribadite dalle conclusioni dell’Avvocato generale. Che alla fine torna a ribadire quanto affermato nella sentenza dei giudici europei che nel 2015 ha dato origine a tutta la vicenda. Allora, la Corte europea affermò l’inefficacia della disciplina italiana della prescrizione, in particolare per quanto riguarda il regime della sospensione: a venire compromessa sarebbe stata infatti la possibilità di infliggere sanzioni effettive e dissuasive per i casi di truffa in materia di Iva. Le conclusioni dell’Avvocato generale ora sono molto chiare sul punto. E precisano che le maggiori garanzie all’imputato, offerte dall’ordinamento italiano non possono compromettere il livello di tutela previsto dalla Carta né il primato, l’unità e l’effettività del diritto dell’Unione. Affermazioni tanto più pesanti, se si tiene conto che, tra pochi giorni, entrerà in vigore una riforma della prescrizione che non si allinea comunque a quanto detto dall’Avvocato generale, legando semmai il prolungamento della sospensione in appello e Cassazione alla condanna nel grado di giudizio precedente. Ad attenuare, sul piano pratico, la portata delle affermazioni c’è la parte delle conclusioni dedicata alla nozione di gravità della frode Iva che renderebbe necessaria la disapplicazione delle misure sulla prescrizione. Nella sentenza Taricco, ammettono le conclusioni, non esiste una definizione di gravità, tuttavia si può fare riferimento a quanto affermato in sede di negoziati in vista dell’approvazione della direttiva sulla tutela degli interessi finanziari dell’Unione, dove vengono definiti gravi quegli illeciti che hanno un nesso con almeno due Stati membri e che hanno come conseguenza un danno complessivo superiore a 10 milioni di euro. Se la sentenza della Corte Ue confermerà, come di solito avviene, le conclusioni dell’Avvocato generale, la questione tornerà a essere affrontata dalla Corte costituzionale. Che, nell’ordinanza n. 24 di quest’anno, ha già lasciato trapelare la possibilità di utilizzo dei cosiddetti controlimiti, soluzione anch’essa dirompente, che sterilizzerebbe però la portata delle pronunce Ue.