Diagnosi medica errata

medico_legge jpgÈ stata annullata la assoluzione del medico responsabile di una diagnosi errata: il reato è prescritto, ma ora dovrà risarcire famiglia della vittima La Corte di Cassazione ha deciso: è stata annullata la assoluzione del medico responsabile di una diagnosi errata che, la Corte d’appello di Bari, aveva assolto dall’accusa di omicidio colposo. Il caso in questione risale a dieci anni fa. Il primario della chirurgia generale universitaria del Policlinico di Bari, visitando una paziente aveva scambiato un tumore al pancreas prima per una colica, poi per un’ernia. E quando finalmente un altro medico aveva capito che si trattava di carcinoma al pancreas, purtroppo per la vittima dell’errata diagnosi – un’insegnante barese morta a dicembre 2008 – non c’era più nulla da fare. A luglio 2016, però, il dottore era stato assolto dalla Corte d’appello di Bari per omicidio colposo, così come era avvenuto nel processo di primo grado perché, per i giudici “il fatto non sussiste”. Gli stessi avevano motivato la sentenza così: “La tempestività della diagnosi sarebbe stata irrilevante ai fini dell’esito della patologia”. Un principio che nessuno, tra Procura generale e la famiglia della donna ha ritenuto accettabile. Per tale ragione hanno deciso di impugnare la sentenza e la Corte di Cassazione ha dato loro ragione. La quarta sezione penale ha infatti accolto il loro ricorso, su richiesta conforme del sostituto procuratore generale: è stata quindi annullata la assoluzione del medico responsabile di diagnosi errata, e senza rinvio. Il reato di omicidio colposo è stato dichiarato prescritto, ma il medico dovrà comunque risarcire gli eredi in sede civile, oltre a farsi carico delle spese legali dei tre gradi di giudizio. La vittima del clamoroso errore medico si era rivolta a proprio allo stesso dottore in virtù della sua fama, dopo aver consultato altri medici. Dopo aver ottenuto rassicurazioni in merito al suo problema era stata invitata a ripresentarsi per un controllo dopo tre mesi, ma la paziente – non convinta della diagnosi che escludeva il tumore – aveva ottenuto una nuova visita. Durante la stessa, il medico aveva escluso nuovamente il tumore, prescrivendo una colonscopia. Poi è arrivata l’estate e il medico si è reso irreperibile. Il giudice di primo grado, pur avendo ritenuto inaffidabile la propria consulenza d’ufficio e avendo riconosciuto le sue colpe, aveva comunque escluso il nesso di causalità tra l’imperizia e la morte. La ragione? “Nessun provvedimento terapeutico avrebbe comportato un rilevante guadagno in termini di sopravvivenza”. Tesi questa, fortemente avversata dalla famiglia e dal tuo consulente tecnico, per il quale una biopsia con ago sottile avrebbe potuto chiarire la diagnosi, e – ancor più importante – che se un tumore al pancreas non supera i due centimetri e mezzo, a cinque anni la sopravvivenza è del 33%. significa che ad aprile del 2008, quando il tumore non superava un centimetro, una diagnosi corretta e un tempestivo intervento chirurgico avrebbero potuto garantire un altro po’ di vita alla donna. Una tesi, quest’ultima, messa bene in evidenza anche dall’accusa: “Steve Jobs, che ha potuto beneficiare delle migliori cure, ha convissuto con quel tumore per undici anni. La povera signora è vissuta appena tre mesi dopo la diagnosi”.