A che punto siamo in Italia con la settimana corta?

Lavorare 4 giorni alla settimana e con lo stesso stipendio? A quanto sembra, uno scenario del genere oggi è possibile. Infatti, anche in Italia, come in altri Paesi europei, si è iniziato a parlare di settimana corta e alcuni contratti aziendali stanno pensando di articolare la prestazione di lavoro nell’arco di soli 4 giorni.

Al momento è una prassi ancora poco diffusa, ma che in futuro potrebbe prendere sempre più piede nella cultura italiana. Siamo davanti ad una vera svolta epocale che impegnerà non poco le organizzazioni sindacali e le imprese nell’implementare nuove regole, considerando la realtà industriale italiana molto diversa dal resto d’Europa. Ma quali benefici offre la settimana corta e quali sono invece le possibili criticità?

Cos’è la settimana corta?

Con l’espressione settimana corta si intende una settimana di lavoro di 4 giorni, al contrario dei canonici 5 giorni. L’orario può restare invariato, ma spesso viene ridimensionato anch’esso, mentre lo stipendio del lavoratore non subisce cambiamento o al massimo una piccola riduzione.

L’idea di fondo è quella di avere una maggiore flessibilità sul posto di lavoro e soprattutto una maggiore attrattività. Al contempo, ci sarà un aumento del benessere per i lavoratori, con un conseguente calo dei livelli di stress, oltre che una conciliazione più facile tra vita privata e lavoro.

Oggi la settimana corta sembra una concreta possibilità. A dimostrarlo è una sperimentazione condotta in Gran Bretagna, dove questa nuova formula è stata testata in diverse aziende del Paese con grande successo.

Il test è stato condotto su 61 imprese inglesi, coinvolgendo circa 2900 lavoratori. Secondo i dati condivisi dai promotori dell’esperimento, la settimana lavorativa corta ha prodotto un aumento dei ricavi del 1,4% e un contestuale aumento del benessere degli impiegati.

Il 39% dei lavoratori sostiene di sentirsi meno stressato e più della metà di loro afferma di riuscire a conciliare vita e lavoro in maniera più agevole. Inoltre, il numero di persone che hanno cambiato impiego durante la sperimentazione è calato del 57% rispetto all’anno precedente.

Tale rimodulazione dell’orario di lavoro sta suscitando consensi in Paesi quali Germania, Francia, Olanda, Svizzera, Norvegia e Danimarca. In Italia siamo ancora indietro sull’argomento, considerando che solo due multinazionali come Intesa e Lavazza hanno aderito alla settimana corta.

La settimana corta in Italia

Dagli anni Sessanta in poi, la contrattazione collettiva italiana ha abbreviato la settimana lavorativa a 5 giorni, per lo meno nel settore servizi e industria. La nostra suddivisione legislativa degli orari di lavoro è di 8 ore al giorno e 40 ore settimanali.

In generale, però, il dato italiano è al di sotto della media europea. Per esempio, nel 2021 un dipendente italiano a tempo pieno impiegato nel settore manifatturiero ha lavorato mediamente 37,8 ore settimanali, contro le 39 ore in Germania e le 38,4 ore della media UE. Quindi è vero che in Italia le 40 ore settimanali raramente vengono raggiunte, ma è altrettanto chiaro che questa impostazione è sempre meno compatibile con le regole organizzative delle nuove forme del lavoro.

Da tempo qui in Italia la classe politica ha cominciato a discutere sull’utilità della settimana corta di 4 giorni. A spingere il governo Meloni al confronto sono proprio i sindacati, a cominciare dalla Cgil di Landini. Anche Cisl si dichiara favorevole alla proposta, mentre la Uil punta alla riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario.

In Italia la situazione è quindi ancora abbastanza in divenire, ma ci sono alcuni colossi che hanno abbracciato l’idea con entusiasmo. È il caso del gruppo Lavazza che entro il 2025 prevede l’introduzione del venerdì breve: ovvero i lavoratori possono godere dell’uscita anticipata il venerdì usando parte dei riposi individuali inclusi nel contratto nazionale, per un periodo di tempo di 15 settimane tra maggio e settembre.

La settimana corta è stata approvata anche da Intesa Sanpaolo. Secondo il nuovo modello organizzativo lanciato a gennaio 2023, la settimana sarà di 4 giorni e 9 ore di lavoro, con stessa retribuzione e su base volontaria.

Ma cosa ne pensano gli altri imprenditori italiani? Un’indagine condotta dalla società AIDP (Associazione Italiana per la Direzione del Personale) su 1000 direttori del personale ha rivelato che il 53% degli intervistati sarebbe favorevole alla settimana corta. Per quanto riguarda la conciliazione vita personale/lavoro, per il 79% è senza dubbio un vantaggio e per il 49% dei partecipanti incrementa il benessere psico-fisico.

Quando si parla però di settimana corta non è sempre tutto rose e fiori poiché possono sorgere delle criticità, come il bisogno di definire una misura della produttività fondata sulle performance di lavoro, con linee guida approvate dalla contrattazione nazionale. In aggiunta, è necessario in via preventiva considerare la sostenibilità economica per la singola impresa e le ipotetiche difficoltà di implementazione.

Sul tema il dibattito politico è vivo e nei prossimi anni ci potrebbero essere importanti novità in tal senso, visto che ci sono già diverse aziende pronte ad imboccare questo percorso.