Legittimo l’accertamento basato sulle indagini bancarie dei conti correnti dei genitori del contribuente

Con l’Ordinanza n 22089/2018 della Sesta Sezione della Corte Suprema di Cassazione è stato accolto il ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza n.9421/17/2016 della Commissione tributaria regionale della Campania.

La Suprema Corte ha statuito la legittimità dell’accertamento fondato sulle indagini bancarie dei conti correnti dei genitori del contribuente- professionista  poichè lo stretto rapporto di contiguità familiare fa applicare la presunzione legale juris tantum in base a cui gli accrediti sui conti correnti bancari equivalgono a ricavi anche alle movimentazioni bancarie intestate ai parenti del professionista qualora manchi una specifica giustificazione su ogni singola operazione.

La vicenda processuale traeva origine dalla notifica di un avviso di accertamento ad un professionista fondato anche sulle movimentazioni bancarie dei conti correnti sia intestati al contribuente sia ai suoi genitori su cui disponeva delega ad operare e da cui aveva già usufruito per la sua attività lavorativa. Il provvedimento veniva impugnato innanzi alla giudice tributario di primo grado che accoglieva l’istanza. L’Agenzia delle entrate proponeva appello che veniva accolto solo parzialmente rispetto ad alcuni movimenti su uno dei conti correnti intestati ai genitori.

L’Agenzia delle Entrate pertanto presentava ricorso innanzi alla Corte di Cassazione, non totalmente soddisfatta della pronuncia della CTR della Campania.

Con il primo motivo di diritto l’Agenzia delle Entrate impugnava la sentenza citata ai sensi dell’art. 360 primo comma n. 5 cpc per il mancato esame da parte della CTR della Campania dei dati extracontabili emersi nel corso della verifica fiscale fatta dalla Guardia di Finanza.

Con il secondo e più pregnante motivo di diritto l’Agenzia delle Entrate impugnava la sentenza citata per la violazione e falsa applicazione della norma sulle indagini bancarie ( artt. 32 dPR n. 600 del 1973 nonchè art. 2728 e art. 2697 c.c. ) in quanto la CTR , sebbene il contribuente- professionista non avesse giustificato adeguatamente le somme movimentate sul conto corrente intestato ai suoi genitori su cui aveva egli stesso delega a operare e che comunque aveva già utilizzato per uso professionale, aveva escluso la ripresa a tassazione di tali ricavi professionali non contabilizzati.

A tal proposito l’ordinanza della Cassazione depositata ieri riprende e fa riferimento a  quanto contenuto nella sentenza Cassazione n. 428/2015 secondo cui “in tema di imposte dei redditi lo stretto rapporto familiare …… è sufficiente a giustificare, salva la prova contraria, la riferibilità delle operazioni riscontrate sui conti correnti di tali soggetti all’attività economica della società sottoposta a verifica”. Solo qualora gli intestatari dei conti correnti bancari forniscano prova di attività a questi connessi e un contestuale rapporto di collaborazione con la società, si esclude la prova presuntiva a sostegno della pretesa dell’Amministrazione finanziaria e si evita pertanto il conseguente spostamento dell’onere della prova contraria sul contribuente. Si rammenti peraltro in tema di onere della prova gravante sul contribuente che essa debba essere riferita alla specifica operazione e movimentazione effettuata.

La Cassazione nell’Ordinanza depositata ieri ha accolto il ricorso presentato dall’ Agenzia delle Entrate , cassando la sentenza impugnata e rinviando alla CTR della Campania dal momento che il giudice di merito non aveva effettuato la rigorosa verifica dell’efficacia delle prove fornite- tralaltro generiche – del  controricorrente, contravvenendo alla disposizione di legge per cui per ogni ricavo riconducibile all’attività professionale o imprenditoriale del contribuente valga la presunzione legale “iuris tantum”che equipara gli accrediti ai ricavi, salvo prova specifica contraria.

La pronuncia seppur implicitamente evidenzia dunque che in presenza di delega a operare su conti correnti bancari e movimentazioni confermate dall’interessato come riferibili alla propria attività professionale,  i conti correnti di terzi – nello specifico i genitori- sia riferibili allo stesso professionista per cui ogni accredito su di essi valga presuntivamente come ricavo e perciò da sottoporsi all’imposizione fiscale.