Autovelox, non basta il certificato di messa in opera: serve la verifica di funzionalità e taratura

Il giudice può contestare l’infrazione tramite autovelox non rifacendosi alla certificazione dell’apparecchio (non basta il certificato di messa in opera), ma deve concretamente sincerarsi che la macchinetta sia stata sottoposta a taratura. Lo ha chiarito la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 10464/2020 pronunciandosi sul ricorso di un conducente che aveva proposto querela di falso contro un verbale di accertamento della polizia municipale.

I fatti

Il Tribunale di primo grado rigettava la querela di falso proposta dal ricorrente contro il verbale di accertamento della polizia municipale. Il Tribunale osservava che la presenza di visibili cartelli di segnalazione di rilevamento della velocità e la visibilità di tali strumenti erano stati confermati dai testi addotti dal Comune. Si riteneva che le modalità di segnalazione della postazione di controllo della velocità era rispondente ai requisiti previsti dal legislatore; che dai verbali risultava che gli agenti si erano avvalsi dello strumento elettronico, modello Velomatic 512, che consente di accertare l’infrazione commessa solo a transito avvenuto del veicolo trasgressore; che nessuna previsione impone di indicare nel verbale di accertamento i risultati dell’apparecchio utilizzato. Ancora, il Tribunale riteneva che la funzionalità dell’apparecchiatura poteva dirsi provata alla luce del certificato di messa in opera e controllo. Una conclusione che il conducente contestava innanzi alla Corte di Cassazione.

Funzionalità e taratura dello strumento elettronico di rilevazione

I giudici della Corte di Cassazione confermano che, per effetto della sentenza n. 113 del 2015 della Corte costituzionale, che ha effetto retroattivo ed è quindi applicabile ai giudizi pendenti, deve ritenersi che l’articolo 45, sesto comma, del Codice della Strada prescriva la verifica periodica della funzionalità degli autovelox e la loro taratura. La sentenza impugnata ha ritenuto irrilevante la taratura rispetto alla correttezza del rilevamento, facendo erroneamente riferimento alla sufficienza, ai fini della funzionalità, del certificato di messa in opera e di controllo (per l’insufficienza delle certificazioni di omologazione e conformità, Cass. 15 luglio 2016 n.14543). Pertanto, precisa il Collegio, qualora venga contestata l’affidabilità dell’apparecchio di misurazione della velocità, il giudice è tenuto ad accertare se l’apparecchio sia stato o meno sottoposto alle suddette verifiche di funzionalità e taratura (v., di recente, Cass., n. 24757/2019).