Cointestazione conto corrente bancario

hands-2069864_1920Alla questione relativa alla caduta in comunione dei rapporti di credito risulta strettamente legata la questione della titolarità dei conti correnti. La cointestazione di un conto corrente bancario tra coniugi è fenomeno assai frequente. L’intestazione congiunta del conto permette ai due titolari di poter disporre di tutte le somme in modo autonomo, di regola indipendentemente l’uno dal l’altro, salvo che non sia diversamente previsto. La legittimazione disgiunta all’uso del conto è possibile anche se le somme presenti sul conto apparten­gono solo ad uno dei due cointestatari. In linea di massima, quindi, ciascun coniuge è legittimato a disporre delle somme di denaro indipendentemente dall’altro, anche se si tratta di somme che appartengono ad uno solo dei due intestatari, salvo che al momento dell’a­pertura del conto corrente o in un momento successivo non si sia prevista la necessità della firma congiunta. Le somme presenti sul conto corrente, peraltro, si presumono appartenere, in parti uguali, ad entrambi i coniugi, essendo irrilevante, nel perdurare della comunione dei beni, se il conto sia alimentato o meno dai proventi economici o dal reddito di entrambi i coniugi. A proposito della cointestazione di conti correnti bancari, occorre tenere nettamente distinti il piano del rapporto esterno con la banca e quello del rapporto interno tra i cointestatari; a tal proposito la giurisprudenza ha affermato i seguenti principi: la cointestazione di un conto corrente, attribuendo agli intestatari la qualità di creditori o debitori solidali dei saldi di conto (art. 1854 c.c.) sia nei confronti dei terzi sia nei rapporti interni, fa presumere la contitolarità dell’oggetto del contratto, salva la prova contraria a carico della parte che deduca una situazione giuridica diversa da quella risultante dalla cointesta­zione stessa. Pertanto, ogni cointestatario al quale sia attribuita la facoltà di operare separatamente è tenuto nei confronti della banca per l’intero (soli­darietà passiva) e può, allo stesso modo, pretendere il pagamento dell’intero (solidarietà attiva); la presunzione per cui le parti di ciascuno risultano uguali se non risul­ta diversamente (art. 1298, comma 2, c.c.) può essere superata attraverso presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti; nel conto corrente bancario cointestato ai coniugi, con facoltà di com­piere operazioni anche separatamente, i rapporti interni tra i correntisti sono regolati non dall’art. 1854 c.c., che riguarda i rapporti tra i medesimi e la banca, ma dall’art. 1298, comma 2, c.c., in base al quale il debito od il credito solidale si dividono in quote uguali solo se non risulti diversamente. Ciò significa non solo che, in mancanza di prova contraria, le parti si presumono uguali e che ciascun coniuge, nei rapporti interni, non può di­sporre oltre il 50% delle somme risultanti da rapporti bancari solidali, senza il consenso espresso o tacito dell’altro, ma anche che, ove risulti provato che il saldo attivo di un rapporto bancario cointestato discenda dal versamento di somme di pertinenza di uno soltanto dei coniugi, si deve escludere che l’altro, nei rapporti interni, possa avanzare diritti sul saldo medesimo. Il Supremo Collegio ha espressamente escluso la caduta in comunione, ai sensi dell’art. 177, lett. a), c.c., dei crediti risultanti dai rapporti di conto corrente bancario. In particolare, ha statuito che Il regime di cui all’art. 177 c.c. viene in realtà ad indirizzarsi sui soli acquisti di beni e non viene ad inerire invece, all’instaurazione di rapporti meramente creditizi, i quali, ove mai fatti oggetto di cointestazione nell’ambito di un conto corrente bancario, non esorbitano dalla logica di un tal tipo di rapporti e non conoscono quindi alcuna preclusione legata al preventivo scioglimento della comunione legale coniugale. (Cass. civ., 27.4.2004, n. 8002) Peraltro, la stessa Cassazione ha ritenuto che il denaro presente nel conto corrente intestato a uno solo dei coniugi rientra senz’altro nella comunio­ne de residuo in via assoluta, e quindi senza possibilità di prova contraria, rilevando espressamente che Il danaro rinvenuto al momento dello scioglimento della comunione legale è assog­gettato alla stessa disciplina prevista dall’ultima parte dell’art. 195 c.c. per i beni mo­bili, ed in virtù della quale la presunzione che questi facciano parte della comunione è vincibile con la prova contraria solo allorché esso (danaro esistente al momento dello scioglimento della comunione) non costituisca provento dell’attività separata di ciascuno dei coniugi, nel qual caso esso invece costituisce, ai sensi dell’art. 177, lett. c), c.c., oggetto della comunione in via assoluta. (Cass. civ., 22.2.1992, n. 2182)