Concetto di malattia

avvocato-gratisSul concetto di malattia, rilevante nell’ambito del diritto penale, si sono delineati nel corso del tempo, in Dottrina ed in Giurisprudenza, due contrastanti posizioni. Tuttavia, prima di addentrarci nel merito della questione, occorre innanzitutto precisare in questa sede, da un punto di vista squisitamente pratico, che la malattia penalmente rilevante, integrante il delitto di lesioni personali, ex art. 582 c.p., deve essere accertata da un apposito referto medico, in mancanza del quale si configurerà la fattispecie di percosse, p. e p. dall’art 581 c.p. Fatta questa breve precisazione, è opportuno ora riportare i due orientamenti che si sono formati in merito appunto al concetto di malattia. Infatti, un primo indirizzo, di tipo esclusivamente Giurisprudenziale, definiva la malattia “qualsiasi alterazione anatomica o funzionale dell’organismo, ancorché localizzata e non impegnativa delle condizioni organiche generali”; per converso, altro filone, prettamente Dottrinario, riportandosi a quanto statuito sul punto dalla scienza medica, definiva espressamente la malattia penalmente rilevante “quel processo patologico, acuto o cronico, localizzato o diffuso, che determina una apprezzabile menomazione funzionale”. Pertanto, alla stregua di ciò, l’elemento di discrimen tra i due concetti di malattia sopra riportati, è quello della effettiva menomazione funzionale del corpo del soggetto passivo. Ne consegue che, ad esempio, un mero ematoma ad un arto, cagionato al soggetto passivo dall’agente, tale da non impedire nella maniera più assoluta la concreta funzionalità del medesimo, per la Giurisprudenza rappresenta una malattia, sanzionata nell’ambito del diritto penale, per la Dottrina, per contro, no ! Sul punto la Corte di Cassazione è intervenuta, delineando il concetto di malattia ed operando, nell’ambito della medesima, la distinzione tra “malattia del corpo” e “malattia della mente”. In particolare, la c.d. “malattia del corpo”, giuridicamente rilevante, si configura allorquando le alterazioni anatomiche del soggetto passivo sono accompagnate da una riduzione apprezzabile della funzionalità dell’arto (ad esempio: una lesione cagionata da Tizio alla mano di Caio tale da impedire a quest’ultimo di scrivere); la c.d. “malattia della mente”, invece, consiste in una alterazione del sistema nervoso, seppur per un brevissimo lasso temporale, quale può risultare, ad esempio, lo shock. Dunque, il sopra menzionato orientamento della Suprema Corte si è oramai pacificamente affermato da anni nelle aule di Giustizia Italiane (rectius: in quasi tutte le aule di Giustizia) e da ultimo nella sentenza oggetto di commento la quale ha annullato la pronuncia della Corte di Appello di Catanzaro, ritenendo che il Collegio di secondo grado si fosse discostato dal concetto di malattia così come attualmente inteso. Gli Ermellini, infatti, nella sentenza in commento, affermano che sussiste la malattia penalmente rilevante allorquando dall’azione posta in essere dall’agente nei confronti della persona offesa discenda una limitazione funzionale, un significativo processo patologico ovvero una compromissione della funzione dell’organismo. Ebbene, prima di avviarci alla conclusione ed una volta chiarito al lettore cosa si intende per malattia, nell’ambito di un processo penale, occorre rappresentare brevemente a chi legge cosa si intende per “durata della malattia”. Infatti, da un lato vi è chi ritiene che la malattia dura fino a che non si completi la restitutio in integrum anatomica (del corpo ovvero della mente), dall’altro, per converso, vi è chi sostiene che la malattia cessi nel momento in cui alla persona offesa vengono meno i disturbi funzionali. L’indirizzo oramai pacificamente affermato è quello secondo cui la malattia termina quando avviene la c.d. “guarigione clinica”, ossia quella accertata alla luce di rigorosi parametri medico-legali.