Diffama il datore di lavoro su Facebook: legittimo il licenziamento

Sfogarsi su Facebook o scrivere sui social messaggi denigratori contro il proprio datore di lavoro è diffamazione? Può essere licenziato il dipendente?

La Sezione Lavoro della Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 10280/2018, è tornata a occuparsi del licenziamento per l’utilizzo di affermazioni denigratorie tramite i social network.

Una lavoratrice era stata licenziata per aver espresso, via social, disprezzo verso il proprio posto di lavoro e contro il datore di lavoro.

La Corte di Cassazione ha valutato come esenti da vizi le decisioni di merito, integrando la condotta imputata alla lavoratrice gli estremi della diffamazione e non potendo incidere fattori esterni sulla gravità della condotta. Si proponeva ricorso per cassazione, affidando lo stesso a tre motivi, tra i quali, la violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 Cc.

La lavoratrice si lamentava del fatto che  la Corte d’Appello di Bologna non avrebbe considerato il profilo psicologico e il grado di intenzionalità della condotta. La Corte di Cassazione preliminarmente reputa che il licenziamento deve essere ricondotto alla nozione legale di giusta causa, per la quale occorre considerare la gravità del comportamento tenuto in concreto dal lavoratore, secondo la regola della non scarsa importanza.

Nella sentenza si legge che la condotta sanzionata con il licenziamento deve essere riconducibile alla nozione legale di giusta causa, tenendo conto della gravita’ del comportamento in concreto del lavoratore, anche sotto il profilo soggettivo della colpa o del dolo, con valutazione in senso accentuativo rispetto alla regola della “non scarsa importanza” dettata dall’articolo 1455 c.c., (Cass. 5.4.2017 n. 8826). Va aggiunto che, al fine di ritenere integrata la giusta causa di licenziamento, non e’ necessario che l’elemento soggettivo della condotta del lavoratore si presenti come intenzionale o doloso, nelle sue possibili e diverse articolazioni, posto che anche un comportamento di natura colposa, per le caratteristiche sue proprie e nel convergere degli altri indici della fattispecie, puo’ risultare idoneo a determinare una lesione del vincolo fiduciario cosi’ grave ed irrimediabile da non consentire l’ulteriore prosecuzione del rapporto (Cass. 1.7.2016 n. 13512).

La valutazione della gravita’ del fatto in relazione al venir meno del rapporto fiduciario che deve sussistere tra le parti non va operata in astratto, ma con riferimento agli aspetti concreti afferenti alla natura e alla qualita’ del singolo rapporto, alla posizione delle parti, al grado di affidabilita’ richiesto dalle specifiche mansioni del dipendente, nonche’ alla portata soggettiva del fatto, ossia alle circostanze del suo verificarsi, ai motivi e all’intensita’ dell’elemento intenzionale o di quello colposo (Cass. 26.7.2011 n. 16283).

La Corte di Cassazione in conclusione dice: “la diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l’uso di una bacheca Facebook integra un’ipotesi di diffamazione, per la potenziale capacità di raggiungere un numero indeterminato di persone, posto che il rapporto interpersonale, proprio per il mezzo utilizzato, assume un profilo allargato ad un gruppo indeterminato di aderenti al fine di una costante socializzazione. Ciò comporta che la condotta di postare un commento su Facebook realizza la pubblicizzazione e la diffusione di esso, per la idoneità del mezzo utilizzato a determinare la circolazione del commento tra un gruppo di persone, comunque, apprezzabile per composizione numerica, con la conseguenza che, se, come nella specie, lo stesso è offensivo nei riguardi di persone facilmente individuabili, la relativa condotta integra gli estremi della diffamazione e come tale correttamente il contegno è stato valutato in termini di giusta causa del recesso, in quanto idoneo a recidere il vincolo fiduciario nel rapporto lavorativo”. Il ricorso, pertanto veniva respinto.