Errore diagnostico ictus ischemico: l’azienda sanitaria non risponde dell’intero ma solo del suo aggravamento

Secondo la Cassazione (sentenza 514/2020) se la patologia da cui è affetto un paziente (nel caso in esame ictus ischemico) è diagnosticata in ritardo, l’azienda sanitaria non risponde dell’intero ma solo del suo aggravamento

I fatti

Nel 2005, un paziente colpito da ictus ischemico conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale per chiedere il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali patiti in conseguenza dell’omessa diagnosi e cura di un ictus ischemico cerebrale.

Si costituiva in giudizio l’ASL chiedendo il rigetto della domanda e, comunque, chiamando in giudizio la compagnia di assicurazioni, da cui essere garantita in caso di accertamento della responsabilita’.

Il Tribunale con la sentenza n. 508/2011, accoglieva la domanda nei confronti della ASL e della compagnia assicuratrice, determinando la responsabilità a carico delle stesse nella percentuale del 20% e limitando il risarcimento al solo danno non patrimoniale.

La decisione veniva confermata dalla Corte d’Appello, con la sentenza n. 118 del 24 maggio 2016 e notificata il 25 giugno 2016. La Corte d’appello rilevava il passaggio in giudicato della statuizione di primo grado nella parte in cui aveva accertato l’omessa diagnosi sia da parte dei sanitari dell’Ospedale.

La Corte ha poi osservato che il CTU, nell’indicare la terapia da eseguire nei casi di ischemia cerebrale, aveva precisato che la stessa terapia deve essere effettuata nel prime tre ore, poiche’ diversamente, la sua efficacia nel ridurre le possibili sequele invalidanti diventa ininfluente.

Il Tribunale, quindi, recependo le valutazioni del CTU, aveva escluso l’incidenza causale nella produzione dell’aggravamento dell’invalidità dell’errore diagnostico commesso nell’ospedale sulla base del dato decisivo che il paziente era giunto in quel nosocomio dopo i due pregressi giorni di ricovero in altro ospedale, allorche’ si era ormai esaurita la fase acuta della patologia e se ne erano stabilizzati i postumi.

Secondo la Corte, tale dato decisivo non era stato contestato in alcun modo dal danneggiato, il quale si era invece limitato a lamentare la erronea somministrazione, da parte dei sanitari di un farmaco (senza peraltro allegare quale sarebbe stato il corretto dosaggio di tale farmaco e la corretta durata della sua somministrazione e quali quelli in concreto attuati, onde consentire al giudicante di vagliare l’eventuale erroneita’ dell’operato dei medici) e la mancata adozione dell’accorgimento della mobilizzazione precoce del paziente (che invece era stata praticata).

La Corte di Appello evidenziava che l’incapacità a continuare a svolgere l’attività lavorativa del paziente (falegname) o altre simili, si sarebbe comunque prodotta anche se la diagnosi e la terapia corretta fossero intervenute tempestivamente, tenuto conto della rilevante incidenza dei postumi direttamente riconducibili alla patologia ischemica (il 45%).

La Corte ha poi ritenuto infondata la protesta relativa all’omesso riconoscimento della rivalutazione monetaria, perché il primo giudice aveva calcolato l’importo risarcitorio in base le tabelle del Tribunale di Milano del 2011 e quindi determinando il quantum nel valore attuale alla data della sentenza.

La sentenza

L’azienda sanitaria ricorreva in Cassazione contro l’addebito del 20% deciso dai giudici (che hanno escluso, appunto il danno patrimoniale), ma la Cassazione ha dato ragione alle decisioni dei precedenti livelli di giudizio in base ai i principi (Terza Sezione Civile, sentenza n. 514/2020):

1) lo stato anteriore di salute della vittima di lesioni personali puo’ concausare la lesione, oppure la menomazione che da quella e’ derivata;

2) la concausa della lesioni e’ giuridicamente irrilevante sul piano della causalita’ materiale;

3) la menomazione preesistente puo’ essere concorrente o coesistente col maggior danno causato dall’illecito;

4) saranno “coesistenti” le menomazioni i cui effetti invalidanti non mutano per il fatto che si presentino sole od associate ad altre menomazioni, anche se afferenti i medesimi organi; saranno, invece, “concorrenti” le menomazioni i cui effetti invalidanti sono meno gravi se isolate, e piu’ gravi se associate ad altre menomazioni, anche se afferenti ad organi diversi;

5) le menomazioni coesistenti sono di norma (e salvo specificita’ del caso concreto) irrilevanti ai fini della liquidazione; ne’ puo’ valere in ambito di r.c. la regola sorta nell’ambito dell’infortunistica sul lavoro, che abbassa il risarcimento sempre e comunque per i portatori di patologie pregresse – con la conseguenza che la relativa liquidazione partira’ dal valore o della tabella delle invalidita’;

6) le menomazioni concorrenti vanno di norma tenute in considerazione:

a) stimando in punti percentuali l’invalidita’ complessiva dell’individuo (risultante, cioe’, dalla menomazione preesistente piu’ quella causata dall’illecito), e convertendola in denaro;

b) stimando in punti percentuali l’invalidita’ teoricamente preesistente all’illecito, e convertendola in denaro; lo stato di validita’ anteriore al sinistro dovra’ essere pero’ considerato pari al 100% in tutti quei casi in cui le patologie pregresse di cui il danneggiato era portatore non gli impedivano di condurre una vita normale;

c) sottraendo l’importo (b) dall’importo (a), partendo peraltro, e diversamente che nel caso sub 5), dal valore (b): esemplificando, rispetto ad una invalidita’ complessivamente accertata (come nel caso di specie) nella misura del 65%, e ad un corrispondente accertamento di una invalidita’ pregressa del 45%, il giudice liquidera’ un valore monetario pari al 20%, partendo, come base di calcolo, dal valore tabellare corrispondente al 45% (criterio di liquidazione che non gli sarebbe consentito ove il frazionamento avvenisse con riferimento alla causalita’ materiale, il cui accertamento dovrebbe arrestarsi sulla soglia della relazione eziologica condotta-lesione, con conseguente applicazione della tabella nel range 0-20);

7) resta imprescindibile il potere-dovere del giudice di ricorrere all’equita’ correttiva ove la rigida applicazione del calcolo che precede conduca, per effetto della progressivita’ delle tabelle, a risultati manifestamente iniqui per eccesso o per difetto.

Per la Corte, poi, occorre considerare che le menomazioni preesistenti possono essere o coesistenti o concorrenti, le secondi risultano più gravi. Poiche’ il danno evento cagionato dalla condotta dei sanitari e’ “rappresentato dalla perdita dell’integrita’ da circa il 45% al 65%, correttamente la decisione impugnata ha escluso dalle conseguenze risarcibili la perdita della capacita’ lavorativa specifica, che si sarebbe prodotta gia’ solo per via dei postumi invalidanti dell’ischemia, anche in assenza di errore medico”.

Le menomazioni, più nel dettaglio, sono coesistenti se i loro effetti invalidanti “non mutano per il fatto che si presentino sole od associate ad altre menomazioni, anche se afferenti i medesimi organi”. Si parla, invece, di menomazioni concorrenti quando i loro effetti invalidanti “sono meno gravi se isolate, e più gravi se associate ad altre menomazioni, anche se afferenti ad organi diversi”. Se le prime sono irrilevanti ai fini della liquidazione, salvo specificità del caso concreto, le seconde vanno adeguatamente valutate. Tale parte della sentenza, che andrebbe riesaminata in caso di accoglimento del primo motivo e di conseguente rideterminazione della responsabilità in misura superiore al 20%, sarebbe comunque illegittima in quanto violerebbe i principi che regolano la materia del risarcimento del danno patrimoniale.

La Corte rigettava il ricorso. Spese compensate.

Corte di Cassazione, Sezione 3 civile – Sentenza 15 gennaio 2020, n. 514