Il coniuge non proprietario recupera le somme per la manutenzione di casa

pointing-1991215_1920Con la fine degli effetti civili del matrimonio scatta il diritto del coniuge non proprietario dell’ex casa coniugale di ottenere il rimborso delle somme, rivalutate, impiegate per finire l’immobile e per la sua manutenzione. La Cassazione, con la sentenza 20207, mette la parola fine a una guerra dei Roses, durata oltre 32 anni, per i soldi spesi in un terreno con annesso fabbricato di proprietà comune.  Una querelle non annunciata, visto che gli accordi tra i due sembravano tanto tranquilli da essere affidati ad una scrittura privata. In sede di separazione, correva l’anno 1976, i due ex avevano stabilito la proprietà comune dell’intero immobile in pari quota e, in proporzione, le parti si impegnavano a mantenerlo oltre che a ripartirsi utili e oneri. Una “pax” rotta nell’85, quando l’ex marito chiede al giudice il riconoscimento della comproprietà perché l’ex moglie non aveva rispettato i patti lasciando sulle sue spalle la manutenzione ordinaria oltre che il completamento e la riparazione dell’immobile. La battaglia legale era durata a lungo tra sentenze di appello e rinvii in Cassazione. Un punto fermo lo aveva messo la Suprema corte affermando il principio di diritto secondo il quale, non è precluso al coniuge non proprietario, quale non possessore, rivendicare il credito, previsto dall’articolo 1150 per «riparazioni, miglioramenti addizioni». Una somma che però può essere tagliata o fatta lievitare in base alla buona fede o meno del coniuge non proprietario. Il dovuto era stato quantificato in sede di merito in lire, poi convertito in euro e diviso per due. Nelle prime sentenze i giudici si erano lanciati anche in una distinzione tra credito di valuta, stabilito per le riparazioni, e credito di valore fissato per le indennità dovute per miglioramenti e addizioni. “Complicazione” abbandonata nei successivi gradi di giudizio, anche perché le migliorie erano state escluse, mentre restava il diritto a rientrare di quanto speso per riparazioni straordinarie, completamento dell’immobile e manutenzione. La Suprema corte precisa che, venuto meno il matrimonio, sorge il diritto al rimborso. Rimborso che, in assenza del presupposto di addizioni e migliorie non può avere i caratteri dell’indennità (commi 3 e 5 dell’articolo 1150 del Codice civile). Tuttavia l’ex marito ha il diritto di «recuperare il valore attuale dello speso o, se si vuole, a reintegrare il proprio attuale patrimonio, non versandosi in presenza di una obbligazione originariamente pecuniaria, bensì di un’obbligazione sorta a seguito della rottura del vincolo matrimoniale». Il tutto tradotto in euro e indici Istat alla mano, è quantificato in poco più di 29 mila euro.