Il decalogo della Cassazione sul danno biologico

“L’incidenza d’una menomazione permanente sulle quotidiane attività “dinamico-relazionali” della vittima non è affatto un danno diverso dal danno biologico ”. Lo ha chiarito la Suprema Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 7513/2018

I fatti 

Un uomo rimasto ferito in conseguenza di un sinistro stradale aveva impugnato per Cassazione la sentenza di secondo grado, ritenendola contraddittoria, nella parte in cui la Corte territoriale aveva stabilito una riduzione del 25% del risarcimento del danno biologico, ricalcolando il credito residuo dell’attore.

In primo grado il Tribunale aveva riconosciuto le pretesa del ricorrente, ma la sentenza era stata riformata in appello.  Il giudice di secondo grado aveva ridotto il risarcimento del danno biologico del 25%. Sul punto si è pronunciata la Cassazione n. 7513 del 27 marzo 2018, su impugnazione presentata dall’attore (con un ricorso di undici motivi, alcuni dei quali accolti dagli Ermellini). Il ricorrente, in particolare, evidenziava la contraddittorietà della sentenza di secondo grado.

Decalogo sul danno biologico

Con sentenza n. 7513 del 27 marzo 2018, la Terza sezione civile della Cassazione ha fornito dieci principi utili per orientarsi in tema di risarcimento del danno alla salute.

La Cassazione riassume in dieci punti le regole per individuare e risarcire il danno alla salute:

1) l’ordinamento prevede e disciplina soltanto due categorie di danni: quello patrimoniale e quello non patrimoniale;

2) iI danno non patrimoniale (come quello patrimoniale) costituisce una categoria giuridicamente (anche se non fenomenologicamente) unitaria;

3) “categoria unitaria” vuol dire che qualsiasi pregiudizio non patrimoniale sarà soggetto alle medesime regale e ai medesimi criteri risarcitori (artt. 1223, 1226, 2056, 2059 c.c.);

4) nella liquidazione del danno non patrimoniale ii giudice deve, da un lato, prendere in esame tutte le conseguenze dannose dell’illecito e dall’altro evitare di attribuire nomi diversi a pregiudizi identici;

5) in sede istruttoria, ii giudice deve procedere a un articolato e approfondito accertamento, in concreto e non in astratto, dell’effettiva sussistenza dei pregiudizi affermati (o negati)  dalle  parti,  all’uopo dando ingresso a tutti i necessari mezzi di prova, opportunamente accertando in special modo se, come e quanta sia mutata la condizione della vittima rispetto alla vita condotta  prima  del  fatto  illecito; utilizzando anche, ma senza rifugiarvisi aprioristicamente,  ii  fatto notorio, le massime di esperienza e le presunzioni, e senza  procedere ad alcun automatismo risarcitorio;

6) in presenza d’un danno permanente alla salute, costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione d’una somma  di denaro a titolo di risarcimento del danno biologico, e l’attribuzione d’una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi di cui è già espressione   ii   grado   percentuale   di  invalidità   permanente   (quali i pregiudizi alle attività quotidiane, personali e relazionali, indefettibilmente dipendenti dalla perdita anatomica o funzionale: ovvero il danno dinamico-relazionale);

7) in presenza d’un danno permanente alla salute, la  misura standard del risarcimento prevista dalla legge o dal criterio equitativo uniforme adottato dagli organi giudiziari di merito (oggi  secondo  ii sistema c.d. del  punto variabile) può essere aumentata solo in presenza di conseguenze dannose del tutto anomale e affatto peculiari. Le conseguenze dannose da ritenersi normali e indefettibili secondo l’id quod plerumque accidit (ovvero quelle che qualunque persona con la medesima invalidità non potrebbe non subire) non giustificano alcuna personalizzazione in aumento del risarcimento;

8) in presenza d’un danno alla salute, non costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione d’una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno biologico, e d’una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi che non hanno fondamento medico-legale, perché non aventi base organica ed estranei alla determinazione medico-legale del grado percentuale di invalidità permanente, rappresentati dalla sofferenza interiore (quali, ad esempio, ii dolore dell’animo, la vergogna, la disistima di se, la paura, la disperazione);

9) ove  sia  correttamente dedotta e adeguatamente provata l’esistenza d’uno di tali pregiudizi non aventi base medico-legale, essi dovranno formare oggetto di separata valutazione e liquidazione (come è confermato, oggi, dal testo degli artt. 138 e 139 cod. ass.,cos1 come modificati  dall’art.  all’articolo  1,  comma  17,   della legge  4 agosto 2017, n. 124, nella parte in cui, sotto l’unitaria definizione di “danno non patrimoniale”, distinguono ii danno dinamico relazionale causato dalle lesioni da quello “morale”);

10) il danno non patrimoniale non derivante da una lesione della salute, ma conseguente alla lesione di altri interessi costituzionalmente tutelati, va liquidato, non diversamente che nel caso di danno biologico, tenendo conto tanto dei pregiudizi patiti dalla vittima nella relazione con se stessa (la sofferenza interiore e ii sentimento di afflizione in tutte le sue possibili forme, id est ii danno morale interiore), quanta di quelli relativi alla dimensione dinamico-relazionale della vita del soggetto leso. Nell’uno come nell’altro caso, senza automatismi risarcitori e dopo accurata ed approfondita istruttoria”.