Licenziamento per giusta causa

law-and-justice-conceptScatta la giusta causa di licenziamento per il lavoratore che reagisca a un richiamo del proprio superiore insultandolo. Lo ha messo nero su bianco la Cassazione (sentenza 20099 del 14 agosto), analizzando un caso avvenuto in una azienda del frusinate. Protagonista un operaio trentasettenne, sindacalista all’interno dell’azienda, colpevole di aver insultato e minacciato il proprio capo-reparto dopo un rimprovero per essersi allontanato dall’officina senza autorizzazione. Licenziamento in tronco per giusta causa la risposta dell’azienda, che ha trovato sponda nella Corte di appello. I giudici hanno infatti definito “ai limiti dell’insubordinazione” la condotta del dipendente e ritenuto “adeguata e proporzionata” la risposta dell’azienda. Nessuna chance per il lavoratore che, ricorrendo in Cassazione, sperava di poter dimostrare quanto – a suo dire – la pena fosse sproporzionata. Non si trattò di insubordinazione, ma di legittima rimostranza nei confronti di un richiamo ritenuto “pretestuoso e infondato”, si legge nel ricorso. Nessun nocumento, nè danno al regolare svolgimento della vita aziendale, secondo la ricostruzione del difensore. L’ex dipendente vuole inoltre leggere nella vicenda la sussistenza di un intento di fondo ritorsivo, discriminatorio e illecito da parte della propria azienda. Ma la Cassazione non accoglie. Nella sentenza depositata ieri, i giudici escludono categoricamente la presenza di indizi che possano provare il nesso causale tra licenziamento e attività sindacale del ricorrente, nè lasciar presupporre una discriminazione a suo danno. Stessa considerazione per quanto riguarda la presunta finalità ritorsiva o discriminatoria vagheggiata dall’operaio. Il ricorso, pertanto, è rigettato.