Medico condannato per una malformazione fetale non rilevata

Secondo la Corte di Cassazione (sentenza 30727/2019) è punibile l’ecografista che non ha informato la paziente non potendo visualizzare per intero il feto, circa la possibilità di ricorrere a un centro di più elevato livello di specializzazione.

Nel 2002, una coppia di coniugi convenivano in giudizio, innanzi al Tribunale di Cassino, l’ecografista al fine di sentirne dichiarare la responsabilita’ solidale in ordine alla mancata diagnosi di malformazione del figlio durante l’esame ecografico di secondo livello.

I coniugi riferivano che l’evidente e grave malformazione da cui era affetto il figlio (configurante manifestazione di una sindrome facio-auricolo-vertebrale, connotata da marcata asimmetria facciale, nonche’ dalla completa assenza del padiglione auricolare destro ed accentuata da appendici preauricolari) avrebbe provocato agli stessi un grave trauma psichico con ripercussioni a livello psicologico anche sull’altro figlio. Chiedevano pertanto il risarcimento di tutti i danni conseguenti al trauma psichico patito.

Istruita la causa mediante CTU, il Tribunale di Cassino rigettava la domanda, affermando, da un lato, il difetto di prova in ordine al collegamento causale tra i fatti ed il danno (gli attori non avevano dimostrato che, se fossero stati informati della sindrome da cui era affetto figlio, si sarebbero avvalsi della facolta’ di interrompere la gravidanza), dall’altro, che gli accertamenti peritali avevano confermato la correttezza dell’operato della dottoressa nell’esecuzione dell’ecografia.

La decisione veniva confermata dalla Corte di Appello di Roma con la sentenza n. 42927/2016, depositata il 6 luglio 2016.

La Corte d’appello, richiamata integralmente la motivazione della sentenza di primo grado, evidenziava che dalla CTU emergeva la corretta esecuzione della ecografia (il cui accertamento non era superato dai motivi di appello), nonche’ il fatto che nel caso in esame non ricorrevano elementi di rischio o di sospetto tali da indicare la necessita’ di accertamenti ecografici piu’ specifici, idonei ad indagare le anomalie della faccia al fine di individuare l’eventuale presenza della malformazione da cui e’ poi risultato affetto. Pertanto, andava escluso che la posizione in cui si trovava il feto nel corso dell’ecografia potesse essere considerato, un fattore limitante dell’esame ed imponesse accertamenti ulteriori.

Avverso tale sentenza proponevano ricorso in Cassazione. I giudici della Corte di Cassazione rammentavano che: “la Corte d’appello non avrebbe effettuato la valutazione dell’attivita’ dell’ecografista alla luce dei parametri di diligenza specificamente richiesti per la medesima attivita’, facendo riferimento anche alle linee guida della SMOG applicabili al momento dell’esecuzione dell’ecografia, che prescrivevano da parte dell’ecografista la visualizzazione di entrambe le orbite, la scansione longitudinale della colonna vertebrale e l’esame dell’estremo cefalico.Tali verifiche non sarebbero state compiute dalla dottoressa, o sarebbero state eseguite in maniera evidentemente erronea. Se l’ecografista avesse correttamente eseguito la scansione della colonna vertebrale dell’estremo cefalico avrebbe potuto verificare l’anomalia vertebrale ed il gravi disformismo del viso con spostamento dell’intera bozza mandibolare e quindi disporre di ulteriori accertamenti necessari, considerato che tali anomalie costituivano indice a possibile presenza della sindrome da cui era poi risultato affetto il figlio della coppia”

Gli ermellini Infatti in tema di responsabilita’ del medico chirurgo, la diligenza nell’adempimento della prestazione professionale “deve essere valutata assumendo a parametro non la condotta del buon padre di famiglia, ma quella del debitore qualificato, ai sensi dell’articolo 1176 c.c., comma 2, con la conseguenza che, in presenza di paziente con sintomi aspecifici, il sanitario e’ tenuto a prenderne in considerazione tutti i possibili significati ed a segnalare le alternative ipotesi diagnostiche” (Cfr. Cass. 30999/2018).

Per la Corte di Cassazione: “il sanitario che formuli una diagnosi di normalita’ morfologica del feto anche sulla base di esami strumentali che non ne hanno consentito, senza sua colpa ha l’obbligo d’informare la paziente della possibilita’ di ricorrere ad un centro di piu’ elevato livello di specializzazione, in vista dell’esercizio del diritto della gestante di interrompere la gravidanza, ricorrendone i presupposti”.

Per quanto riguarda poi la responsabilita’ contrattuale della struttura sanitaria, incombe sul paziente che agisce per il risarcimento del danno l’onere di provare il nesso di causalita’ tra l’aggravamento della patologia (o l’insorgenza di una nuova malattia) e l’azione o l’omissione dei sanitari, mentre, ove il danneggiato abbia assolto a tale onere, spetta alla struttura dimostrare l’impossibilita’ della prestazione derivante da causa non imputabile, provando che l’inesatto adempimento e’ stato determinato da un impedimento imprevedibile ed inevitabile con l’ordinaria diligenza (Cfr. da ultimo Cass. 2416/2019; Cass. 26700/2018).