Nessuna condanna per mancato mantenimento nei confronti del figlio se il padre è costretto a chiedere l’elemosina

Per la Corte di Cassazione (sentenza n. 11364/2020), nessuna condanna per mancato mantenimento del figlio per il padre imprenditore costretto a chiedere l’elemosina e aiuto ai centri di assistenza.

I fatti

La Corte di appello confermava la sentenza di nei confronti dell’imputato per il reato previsto dall’articolo 570 c.p., commi 1-2, per aver fatto mancare i mezzi di sussistenza al figlio minore. Lo stesso, attraverso il suo difensore proponeva Ricorso per Cassazione articolando tre motivi.

Con il primo si lamentava vizio di motivazione. La Corte non avrebbe adeguatamente valutato:

– le dichiarazioni della parte civile che avrebbe utilizzato le sostanze dell’imputato per ristrutturare l’abitazione familiare e, successivamente, si sarebbe allontanata non appena questi si ritrovo’ nelle difficolta’ economiche che lo condussero al dissesto ed al fallimento; la donna sarebbe stata titolare di un reddito di circa 3 mila Euro al mese e non avrebbe mai partecipato alle spese, tutte sopportate dall’imputato: sul punto, la motivazione della sentenza sarebbe silente.

Il giudizio di penale responsabilita’ sarebbe stato inoltre formulato senza considerare le oggettive condizioni di incapacita’ economica dell’imputato, descritto dal curatore fallimentare come un soggetto “ridotto a chiedere l’elemosina”.

Con il secondo motivo si lamenta violazione di legge in relazione all’articolo 603 c.p.p., con riferimento alle testimonianze del fratello dell’imputato e del geometra; l’imputato, condannato in primo grado in contumacia, era stato rimesso in termini e la Corte di appello, diversamente da quanto statuito dalla Corte di cassazione, non avrebbe disposto la rinnovazione della istruttoria dibattimentale.

Con il terzo motivo si lamenta la mancata assunzione di una prova decisiva, quelle, cioè, già indicate; l’assunto della Corte di merito, secondo cui quelle deposizioni avrebbero avuto ad oggetto la ristrutturazione della casa e, dunque, non avrebbero avuto rilievo rispetto al fatto- reato per cui si procede, non sarebbero condivisibili in quanto, invece, quelle testimonianze, se assunte, avrebbero comprovato che l’imputato aveva utilizzato le proprie sostanze economiche proprio per la casa in cui viveva il figlio e che cio’ fece fino al momento della dichiarazione di fallimento.

La sentenza della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione dichiara che il ricorso e’ fondato quanto al secondo ed al terzo motivo, che assumono valenza pregiudiziale ed assorbente.

Sul secondo motivo del ricorso la Cassazione chiarisce non e’ in contestazione che l’imputato sia stato rimesso in termini per impugnare la sentenza di condanna emessa dal Tribunale e che con l’atto di appello fosse stata chiesta la rinnovazione della istruttoria dibattimentale con riguardo alle testimonianze indicate; il tema di prova, posto a fondamento delle richiesta, era quello di dimostrare che l’imputato avesse assolto gli impegni economici per ristrutturare la casa familiare e che, proprio a causa di tale onere, avesse lapidato le proprie sostanze al punto da essersi “ridotto a chiedere l’elemosina e che sopravvive grazie ai centri di assistenza” (cosi’ l’atto di appello, pag. 8, con cui si faceva riferimento alle affermazioni del curatore fallimentare rese nel processo avente ad oggetto il reato di bancarotta).

Dunque, un fatto che, anche solo in ragione della conte:stazione “aperta” della permanenza della condotta delittuosa attribuita al ricorrente, ineriva alla prova delle condizioni economiche dell’imputato, della sua impossibilita’ colpevole di adempiere, almeno in un dato momento temporale, e, dunque, alla prova della stessa esistenza del reato. A fronte di tale specifico motivo di appello, la Corte, nell’ambito di una motivazione obiettivamente stringata, ha ritenuto che il tema di prova dedotto riguardasse solo “le modalita’ di ristrutturazione della casa familiare” e, quindi, che non fosse pertinente rispetto all’oggetto del processo.

La Corte di cassazione ha in piu’ occasioni affermato che il condannato, restituito nel termine per l’impugnazione per non avere avuto conoscenza del procedimento, ha diritto ad ottenere la rinnovazione della istruzione in appello, non potendo valere nei suoi confronti le limitazioni per la rinnovazione previste dall’articolo 603 c.p.p., atteso il necessario coordinamento, in linea con l’articolo 6 CEDU.  La sentenza deve essere annullata con rinvio e la Corte d’Appello è tenuta a disporre il rinnovo del dibattimento per valutare l’attendibilità della persona offesa.

Corte di Cassazione sentenza 6 aprile 2020, n. 11364-2020,