Responsabilità medica. Ginecologo accusato di aver causato decesso del feto: la sentenza della Cassazione

La Cassazione con la sentenza n. 8864/2020 chiarisce che è inesperibile il raggiungimento della soglia probatoria della rilevanza causale della condotta addebitata al medico rispetto all’evento infausto.

La Corte di Cassazione è pervenuta a questa conclusione dopo che la Corte d’Appello ha dichiarato di non doversi procedere nei confronti di un ginecologo in ordine al delitto di omicidio colposo.

Come sono andati i fatti?
Un ginecologo in servizio presso un’ Unita’ Operativa di Ostetricia e Ginecologia era stato accusato di avere concorso a cagionare unitamente al collega, il decesso del feto, che la gestante, alla 31+3 settimana di gravidanza con sintomi di preeclampsia portava in grembo.
A seguito di una disamina non corretta del quadro complessivo della gestante, che avrebbe dovuto indurre a considerare un rapido espletamento del parto, stante l’insussistenza delle condizioni per attendere oltre (ossia in presenza di rilevante stato anemico, riduzione del flusso nelle arterie uterine, ritardo di crescita fetale nelle ultime due settimane di gestazione, segno di una ridotta funzione placentare, calo delle piastrine, elevati valori pressori); non veniva eseguito un adeguato monitoraggio ed apporto terapeutico per la stabilizzazione delle condizioni della paziente, atteso che dopo due giorni dal ricovero, permanendo elevati i valori pressori, non eseguivano un nuovo esame di flussimetria Doppler. I due sanitari non adottavano le necessarie misure terapeutiche e di controllo per salvaguardare la salute della madre e del feto.
Un intervento immediato avrebbe salvato la paziente in pericolo di vita e il feto in asfissia,  ma il ginecologo dalle ore 8 del mattino fino alle ore 10.07 non praticava alcun intervento chirurgico sulla gestante, tanto è vero che il feto era già morto.
Secondo il Tribunale, il medico si sarebbe dovuto accorgere della situazione ed eseguire un intervento immediato, che se effettuato avrebbe potuto essere risolutivo, in quanto fino alle 09,30 la situazione, pur grave, non era ancora compromessa e il feto era ancora vivo; invece egli riprese il monitoraggio cardiotocografico solo alle 09,30, ormai tardivamente.

In sede d’appello, su richiesta della difesa veniva espletata perizia, il collegio peritale evidenziava che, da prima che il secondo medico subentrasse al primo, vi erano gli elementi per poter procedere d’urgenza al taglio cesareo; e ricostruivano il quadro clinico che va dalle ore 08,00 al decesso del feto.

I periti hanno analizzato la condotta del secondo ginecologo contestando l’omessa riapplicazione della cardiotocografia fino alle 09,30, laddove, se essa fosse stata riapplicata subito, avrebbe consentito di apprezzare meglio le condizioni del nascituro e di intervenire con maggiore tempestivita’. Peraltro, concludono i periti, l’indisponibilita’ del tracciato cardiotocografico nell’arco temporale compreso tra le 07,00 e le 09,30 non ha consentito di stabilire se, qualora il cardiotocografo fosse stato tempestivamente riapplicato e fosse stato eseguito il taglio cesareo un’ora prima, il feto si sarebbe potuto salvare, laddove la sopravvivenza e’ stata ritenuta certamente probabile se il taglio cesareo fosse stato eseguito attorno alle ore 07,00 dal primo medico.

A fronte di cio’, la Corte ha tuttavia concluso che il ritardo di 45 minuti (dalle 08,45 alle 09,30) nel ricollegare il cardiotocografo ebbe con ogni probabilita’ un ruolo decisivo nella morte del feto: il quale, sicuramente ancora vivo alle 09,45, sarebbe stato altrettanto sicuramente in condizioni migliori e con maggiori probabilita’ di sopravvivere qualora la condotta doverosa fosse stata anticipata di un’ora, a nulla rilevando – prosegue la Corte di merito – il dubbio dei periti circa le effettive chances che il feto avrebbe avuto poi di sopravvivere nell’ambiente esterno dopo la nascita.

Il secondo ginecologo di turno ricorre a questo punto in sede di Cassazione sollevando due motivi di doglianza.

Con il primo motivo l’esponente lamenta vizio di motivazione in riferimento al nesso causale tra la condotta contestata e l’evento letale. Il ricorrente ricostruisce le valutazioni e le conclusioni dei periti nominati dalla Corte territoriale, evidenziando che, quanto al rapporto di causalita’ relativo alla condotta non era possibile stabilire se, con l’immediata riapplicazione del tracciato CTG e l’anticipazione del taglio cesareo alle ore 09,00, le condizioni del feto sarebbero state adeguate alla sopravvivenza. Tale conclusione e’ stata giudicata dalla Corte di merito come irrilevante per dubitare dell’incidenza causale del ritardo medico.

Con il secondo motivo di ricorso si denuncia violazione di legge in punto di qualificazione giuridica del reato, che meglio si sarebbe dovuto inquadrare nella fattispecie di cui all’articolo 593-bis c.p. (aborto colposo), punita con pena meno grave. Invero, il perito ha chiarito che i polmoni del nascituro non avevano mai respirato, e d’altra parte la diversa qualificazione del reato e’ stata gia’ riconosciuta e che il medico del turno precedente è stato imputato per questa ipotesi delittuosa meno grave.

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 8864/2020 accoglie il ricorso del ginecologo perché fondato e assorbente. Ha stabilito a proposito “dell’obbligo motivazionale del giudice dissenziente in tema di responsabilita’ medica, si afferma che il giudice di merito che intenda discostarsi dalle conclusioni del perito d’ufficio e’ tenuto ad un piu’ penetrante onere motivazionale, illustrando accuratamente le ragioni della scelta operata, in rapporto alle prospettazioni che ha ritenuto di disattendere, attraverso un percorso logico congruo, che evidenzi la correttezza metodologica del suo approccio al sapere tecnico- scientifico, a partire dalla preliminare, indispensabile verifica critica in ordine all’affidabilita’ delle informazioni scientifiche disponibili ai fini della spiegazione del fatto” (ex multis Sez. 5, Sentenza n. 9831 del 15/12/2015 – dep. 2016, Minichini e altri, Rv. 267566).

Principi di cui la Corte d’Appello non ha fatto corretta applicazione. A fronte delle valutazioni fortemente dubitative dei periti nominati dalla Corte di merito circa le possibilità di un parto con feto vivo qualora il medico avesse agito con la richiesta tempestività – valutazioni ampiamente illustrate nella relazione -, la Corte di merito affida il proprio difforme convincimento a poche battute, evocando genericamente il principio secondo il quale “in presenza di una sofferenza fetale la situazione si aggrava con il decorso del tempo, con una incidenza causale maggiore in prossimita’ dell’evento acuto (nello specifico del distacco della placenta) con la conseguenza che anche l’attesa di un’ora (arco temporale nemmeno tanto contenuto) deve essere ritenuta significativa in una condizione nella quale poco prima dell’intervento il feto era ancora vivo”; e qualificando come altamente probabile, “nell’ambito di una valutazione logica” (distonica, tuttavia, rispetto a quella del collegio peritale), l’estrazione di un feto ancora in vita se la condotta del medico fosse stata adeguatamente tempestiva e quindi anticipata di circa un’ora, in quanto – ritengono i giudici dell’appello – “il distacco della placenta, avvenuto proprio nel periodo di tempo nel quale la parte civile era seguita dal medico, fosse, nello specifico, prevedibile ed evitabile utilizzando una condotta professionale adeguata“.

A fronte di cio’,  i periti hanno censurato il ritardo di 45 minuti (alle ore 09,30 anziche’ alle 08,45) con il quale il dottore ha proceduto a riapplicare il cardiotocografo, ritardo da essi giudicato senza dubbio colpevole; ma, attraverso un’accurata illustrazione delle peculiarita’ della fattispecie e sulla base di un approfondito ragionamento controfattuale, hanno concluso  in termini fortemente dubitativi in ordine alla rilevanza causale di tale ritardo sul corso degli eventi e, in specie, sull’esito fatale al nascituro. Quanto al fatto che il distacco della placenta fu la causa finale del decesso, i periti hanno chiarito che esso non puo’ collocarsi in un momento puntuale, ma verosimilmente era gia’ iniziato prima delle ore 07,00.

Ed ancora, quanto alla possibilita’ che il nascituro nascesse vivo e vitale ove estratto alle 07,00 anziche’ alle 09,30, i periti si sono detti non in grado di fornire una risposta certa, in relazione alle condizioni della madre e del feto.

Non solo la Corte ha altresì trascurato che “nei reati omissivi impropri, la valutazione concernente la riferibilità causale dell’evento lesivo alla condotta omissiva che si attendeva dal soggetto agente, deve avvenire rispetto alla sequenza fenomenologica descritta nel capo d’imputazione, di talché, nelle ipotesi di omicidio o lesioni colpose in campo medico, il ragionamento controfattuale deve essere svolto dal giudice di merito in riferimento alla specifica attivita’ (diagnostica, terapeutica, di vigilanza e salvaguardia dei parametri vitali del paziente o altro) che era specificamente richiesta al sanitario e che si assume idonea, se realizzata, a scongiurare l’evento lesivo, come in concreto verificatosi, con alto grado di credibilita’ razionale” (Sez. 4, n. 30469 del 13/06/2014, Jann e altri, Rv. 262239).

In tema di nesso di causalita’, il giudizio controfattuale – imponendo di accertare se la condotta doverosa omessa, qualora eseguita, avrebbe potuto evitare l’evento – richiede preliminarmente l’accertamento di cio’ che e’ accaduto (c.d. giudizio esplicativo) per il quale la certezza processuale deve essere raggiunta (Sez. 4, Sentenza n. 23339 del 31/01/2013: in applicazione del principio di cui in massima la S.C. ha censurato la decisione del giudice di appello che ha affermato la responsabilita’ di un medico – per avere, sulla base di un’errata interpretazione del tracciato cardiografico del feto, ritardato il parto con taglio cesareo, causandone il decesso – ritenendo non provato il momento di insorgenza della sofferenza fetale e, quindi, la circostanza che il feto potesse essere salvato nel momento in cui gli esami vennero sottoposti all’attenzione del medico, se quest’ultimo fosse tempestivamente intervenuto).

Deve constatarsi che, sulla base dell’apporto scientifico fornito dai periti designati d’ufficio, resta sostanzialmente inesperibile il raggiungimento della soglia probatoria della rilevanza causale della condotta addebitata al medico rispetto all’evento infausto.

La sentenza impugnata va pertanto annullata senza rinvio, quanto alla posizione del ricorrente, con la formula “per non aver commesso il fatto” a fronte dell’attribuzione di responsabilita’ per lo stesso fatto al coimputato.

Sentenza 5 marzo 2020, n. 8864