Rinuncia all’eredità

Risultati immagini per eredità legale immaginiPer formulare una valida rinuncia all’eredità, occorre prima procedere alla redazione dell’inventario dell’eredità? Questo dubbio attanaglia la prassi professionale perché, a fronte di un comportamento univoco dei notai (nel senso di non ritenere necessario l’inventario dell’eredità per esprimere una valida rinuncia all’eredità), la Corte di cassazione, con poche, ma incessanti e praticamente non motivate pronunce (le sentenze 7076/1995, 4845/2003 e 5862/2014), ha sancito esattamente il contrario. Vediamo i termini della questione. Il soggetto che è denominato come «chiamato all’eredità» è colui che, per legge o testamento, è candidato a diventare erede del de cuius, qualora dichiari di accettare l’eredità che gli sia offerta per effetto del decesso del de cuius. Fino all’accettazione dell’eredità, il chiamato non ha la titolarità del patrimonio ereditario e non è tenuto a rispondere dei debiti del defunto; una volta che, invece, il chiamato abbia accettato l’eredità (senza essersi avvalso del beneficio di inventario), egli risponde dei debiti del defunto, di qualunque entità essi siano (e, quindi, anche se superino il valore dell’attivo ereditario): per significare questa situazione si dice che egli, in tal caso, è un erede “puro e semplice”. Se invece l’accettazione dell’eredità sia fatta con il beneficio d’inventario, l’erede non risponde dei debiti del defunto che superino il valore dell’attivo ereditario. Ora, nessun problema si pone per il chiamato all’eredità che non sia nel possesso dei beni ereditari (per “possesso” si intende la materiale disponibilità di beni del defunto, anche di minimo valore: ad esempio, la sua casa, la sua automobile, i suoi averi, i suoi effetti personali): il chiamato non possessore ha 10 anni di tempo per accettare l’eredità e fino a che l’accettazione non avvenga, nessuno può pretendere che egli paghi i debiti del defunto. Se si passa invece a osservare il caso del chiamato all’eredità che sia nel possesso dei beni ereditari, l’articolo 485 del Codice civile dispone che egli deve fare l’inventario entro tre mesi dal giorno dell’apertura della successione. Se entro questo termine abbia cominciato l’inventario, ma non sia stato in grado di completarlo, egli può ottenere dal tribunale del luogo in cui si è aperta la successione una proroga che, salvo gravi circostanze, non deve eccedere i tre mesi.  Trascorso il termine (trimestrale o prorogato) senza che l’inventario sia stato compiuto, il chiamato all’eredità è considerato erede “puro e semplice”. Compiuto invece l’inventario, il chiamato all’eredità che non abbia ancora fatto la dichiarazione di accettazione dell’eredità ha un termine di quaranta giorni da quello del compimento dell’inventario medesimo, per deliberare se accetta o rinunzia all’eredità. Se questo termine decorre senza che il chiamato abbia espresso la volontà di rinunciare o di accettare con il beneficio d’inventario, egli è considerato erede “puro e semplice”. D’altro canto, l’articolo 519 del Codice civile attribuisce al chiamato il diritto di rinunciare all’eredità e l’articolo 521 sancisce che chi rinuncia all’eredità si considera «come se non vi fosse mai stato chiamato». Allora, ci si chiede: quando l’articolo 485 del Codice civile parla di rinuncia all’eredità da parte del chiamato una volta che sia stato compiuto l’inventario, sta alludendo a una facoltà alternativa a quella dell’accettazione beneficiata? O sta alludendo al fatto che il compimento dell’inventario è condizione imprescindibile per poter validamente rinunciare all’eredità? Quest’ultima appare essere, in realtà, una lettura non appropriata della normativa in questione. La legge infatti pare offrire solo i seguenti possibili scenari: due soluzioni “radicali” (l’accettazione “pura e semplice” e la rinuncia) e cioè la incondizionata adesione alla chiamata ereditaria o il suo categorico respingimento; e: due soluzioni “di riflessione”: l’accettazione con beneficio di inventario, seguita dalla redazione dell’inventario (qui, da subito, il chiamato intende aderire alla chiamata, ma intende cautelarsi dell’eventuale eccedenza del passivo rispetto all’attivo); oppure, viceversa, la redazione dell’inventario, al cui esito si rimanda la decisione se accettare o meno. Andare dunque a desumere da questo panorama normativo l’imprescindibilità dell’inventario per poter validamente esprimere una rinuncia all’eredità significa far dire alla legge ciò che essa non vuole, e cioè pretendere un’inventariazione (e relativo dispendio di tempi e di costi) a carico di chi non ha nessuna volontà di sapere come è composta la massa ereditaria: ciò che anche la Cassazione ha bensì affermato, ma solo nell’isolata e lontana sentenza n. 11634/1991. Appare infatti indubbio che tra la posizione dei creditori (i quali cerchino di soddisfarsi su un patrimonio diverso da quello del proprio debitore) e la posizione del chiamato all’eredità che si trovi nel possesso dei beni ereditari (magari di beni insignificanti, magari per un breve periodo di tempo) e abbia formulato una radicale rinuncia all’eredità, sia quest’ultima posizione a dover prevalere, senza che debba soccombere per il fatto di un mancato inventario che nessuna norma gli impone.