Risarcimento infortunio sul lavoro

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Diritto “controverso” quello della risarcibilità del danno differenziale. L’infortunio sul lavoro è un incidente che avviene in occasione dell’attività lavorativa. Esso ricomprende tutte quelle situazioni “ambientali” che esulano dal semplice concetto di orario o posto di lavoro, ma che corrispondono alle condizioni (latu sensu) nelle quali il lavoratore vive, viene a contatto e che, pertanto, possono costituire una causa di danno per lo stesso. L’infortunio sul lavoro è coperto dall’assicurazione obbligatoria Inail che prevede risarcimento, retribuzione di indennità sostitutiva in caso di incidente violenti, dal quale derivi la morte e l’inabilità permanente o assoluta del lavoratore. In vero, l’Inail copre tutti gli infortuni sul lavoro del lavoratore anche se da lui stesso direttamente causati per negligenza, imprudenza o imperizia ed estende la copertura assicurativa anche agli incidente che il lavoratore potrebbe avere durante il normale tragitto di andata e ritorno tra casa e posto di lavoro (c.d. in itinere). Ad ogni modo, le problematiche connesse alla risarcibilità del danno differenziale, nell’ambito del diritto del lavoro sono complicate, vista la coesistenza di un sistema di assicurazione pubblica (gestita dall’Inail appunto), che ha funzione indennitaria (e non risarcitoria) e il preciso intento di liberare rapidamente il lavoratore dallo stato di bisogno conseguente all’infortunio o alla malattia ( cfr. in questo senso Cass.19/2/91, n.8085, nonché Corte Cost. 21/11/97, n.350) non costringendolo così ad intentare un’azione comune nei confronti del datore di lavoro (il quale rimane esonerato da responsabilità per i danni indennizzati dall’Inail, salva la possibilità, per il leso, di richiedere il danno differenziale nei termini e modi previsti dall’art. 10 T.U. 1124/65), dall’altro non pone in essere un vero e proprio ristoro del danno, essendo possibile che l’indennizzo sia difforme (per eccesso o per difetto) al danno civilisticamente risarcibile. Questo sistema, che in verità pare essere molto “vicino” alla disciplina delle assicurazioni private, e della contrattualistica privata in generale, si è evoluto in un istituto giuridico ove il lavoratore è l’assicurato, non più il datore di lavoro, ma di riflesso esso rappresenta anche una garanzia sulla responsabilità civile di quest’ultimo, il quale è esonerato dal risarcimento dei danni nei limiti di cui all’art. 10 T.U. 1124/65 (la responsabilità sussiste solo per i fatti costituenti reato perseguibile di ufficio di cui il datore di lavoro debba rispondere civilmente e solo per la parte di danno eccedente l’indennità liquidata dall’assicuratore sociale). L’assicurazione infortuni è sostanzialmente una assicurazione contro i danni alla persona del lavoratore. Il rischio assicurato è quello professionale, cioè quello connesso alle attività lavorative protette dalla normativa. I danni coperti da assicurazione, dopo l’introduzione del D.Lgs 38/00, sono quelli patrimoniali derivanti dalla perdita della capacità lavorativa generica per inabilità permanente pari o superiore al 16%, dalla perdita della capacità lavorativa specifica per inabilità temporanea assoluta superiore a tre giorni, dalla morte del lavoratore derivante dall’infortunio o dalla malattia professionale, dalla perdita dell’integrità psicofisica in misura pari o superiore ad un 6% ( danno biologico). A seguito dell’introduzione del d.lgs. 38/2000 la giurisprudenza si è, però, dovuta confrontare con il problema se ammettere o meno il danno differenziale in relazione al danno biologico. La questione – come è noto – non è stata risolta in modo univoco. Secondo un’interpetazione più restrittiva, il danno differenziale, inteso quale danno quantitativo, rientrante, comunque nella copertura assicurativa, è costituito dalla differenza tra quanto riconosciuto dall’Inail e la maggior somma liquidata in sede civile, mentre in senso qualitativo si fa riferimento a voci non rientranti nella copertura assicurativa (in tal senso, dovrebbe parlarsi di danno complementare), liquidabili all’infortunato in aggiunta all’indennizzo Inail. Inserito anche il danno biologico all’interno della copertura Inail, tale danno, da complementare è divenuto differenziale. L’art. 13 d.lgs. 23 febbraio 2000, n.38, definisce espressamente e “in via sperimentale” il danno biologico ai fini della tutela dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, “come la lesione all’integrità psicofisica, suscettibile di valutazione medico legale, della persona”. Precisando, poi, che “le prestazioni per il ristoro del danno biologico sono determinate in misura indipendente dalla capacità di produrre del reddito dal danneggiato”. In questo modo, è stato recepito legislativamente l’orientamento della Corte Costituzionale e della giurisprudenza di merito e di legittimità che hanno da sempre considerato il danno biologico come il danno al bene primario della salute, tutelato dall’art. 32 Cost., non avente natura patrimoniale, ma suscettibile di quantificazione in termini monetari.