Ticket di licenziamento: chiarimenti

L’Inps, con la circolare 17 settembre 2021, n. 137, interviene nuovamente in merito all’obbligo di versamento del cd. ticket di licenziamento, introdotto dall’articolo 2, commi da 31 a 35, della legge 92/2012, per fornire chiarimenti sulla contribuzione dovuta.

In particolare, il comma 31 della citata disposizione, come modificato dall’articolo 1, comma 250, lettera f), della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dispone che: “Nei casi di interruzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato per le causali che, indipendentemente dal requisito contributivo, darebbero diritto all’ASpI [oggi NASpI], intervenuti a decorrere dal 1° gennaio 2013, è dovuta, a carico del datore di lavoro, una somma pari al 41 per cento del massimale mensile di ASpI [oggi NASpI] per ogni dodici mesi di anzianità aziendale negli ultimi tre anni. Nel computo dell’anzianità aziendale sono compresi i periodi di lavoro con contratto diverso da quello a tempo indeterminato, se il rapporto è proseguito senza soluzione di continuità o se comunque si è dato luogo alla restituzione di cui al comma 30”. Con la circolare n. 40/2020 l’Istituto ha fornito un quadro riepilogativo delle fattispecie che comportano l’obbligo contributivo in argomento e delle tipologie contrattuali per le quali, invece, il contributo non è dovuto.

La misura del contributo

I criteri di calcolo del contributo in parola sono definiti dall’articolo 2, comma 31, della legge n. 92/2012, il quale stabilisce, come riportato in premessa, che il contributo è pari al “41 per cento del massimale mensile di ASpI [oggi NASpI] per ogni dodici mesi di anzianità aziendale negli ultimi tre anni”. Il contributo è pertanto scollegato dall’importo della prestazione individuale e, conseguentemente, lo stesso è dovuto in misura identica a prescindere dalla tipologia di lavoro, che esso sia part-time o full-time.

Alla luce di quanto sopra, al fine di determinare l’esatto importo dovuto, è necessario prioritariamente determinare l’anzianità lavorativa del lavoratore cessato, applicando le regole di computo esposte al paragrafo 3.1 della citata circolare n. 40/2020; il contributo deve essere infatti calcolato in proporzione ai mesi di anzianità aziendale, maturati dal lavoratore nel limite massimo di 36 mesi. Considerato che l’importo dovuto è pari al 41% del massimale mensile NASpI per ogni 12 mesi di durata del rapporto di lavoro, per i periodi di lavoro inferiori all’anno il contributo deve essere determinato in proporzione al numero dei mesi di durata del rapporto di lavoro.

A titolo esemplificativo si riportano i seguenti casi:

– lavoratore con anzianità aziendale, al momento della cessazione del rapporto di lavoro, pari a 12 mesi:

contributo dovuto = 41% del massimale ASpI/NASpI dell’anno in cui è cessato il rapporto di lavoro;

– lavoratore con anzianità aziendale, al momento della cessazione del rapporto di lavoro, pari a 6 mesi:

contributo dovuto = 6/12 del 41% del massimale ASpI/NASpI dell’anno in cui è cessato il rapporto di lavoro;

– lavoratore con anzianità aziendale, al momento della cessazione del rapporto di lavoro, pari a 28 mesi:

contributo dovuto = 41% del massimale ASpI/NASpI dell’anno in cui è cessato il rapporto di lavoro moltiplicato per 2 + 4/12 del 41% del massimale ASpI/NASpI dell’anno in cui è cessato il rapporto di lavoro.

La misura del contributo nelle ipotesi di licenziamento collettivo è determinata utilizzando per ogni singolo lavoratore i criteri sopraesposti e considerando altresì:

– se la dichiarazione di eccedenza del personale, prevista dalla procedura di licenziamento collettivo, abbia formato o meno oggetto dell’accordo sindacale di cui all’articolo 4, comma 9, della legge 23 luglio 1991, n. 223. In caso non sia stata oggetto di accordo, a decorrere dal 1° gennaio 2017 il contributo è moltiplicato per 3 volte (cfr. l’art. 2, comma 35, della legge n. 92/2012);

– se l’azienda che ha intimato il licenziamento collettivo rientra nel campo di applicazione della CIGS ed è quindi tenuta alla contribuzione per il finanziamento dell’integrazione salariale straordinaria (cfr. l’art. 20 del decreto legislativo n. 148/2015). A decorrere dal 1° gennaio 2018, per ciascun licenziamento effettuato nell’ambito di un licenziamento collettivo da parte di un datore di lavoro tenuto alla contribuzione per il finanziamento dell’integrazione salariale straordinaria, l’aliquota percentuale del c.d. ticket di licenziamento è innalzata all’82% (cfr. l’art. 1, comma 137, della legge 27 dicembre 2017, n. 205). Sono esclusi dall’innalzamento dell’aliquota i licenziamenti collettivi la cui procedura sia stata avviata entro il 20 ottobre 2017, ancorché le interruzioni del rapporto di lavoro siano avvenute in data successiva al 1° gennaio 2018 (cfr. il paragrafo 3.2 della circolare n. 40/2020)

Pertanto, si riportano i seguenti ulteriori esempi relativi alle ipotesi di interruzione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato a seguito di licenziamento collettivo intervenute a decorrere dal mese di gennaio 2018:

– azienda che non rientra nell’ambito di applicazione della CIGS – licenziamento collettivo con accordo:

contributo dovuto pari al 41% del massimale NASpI dell’anno in cui è cessato il rapporto per ogni 12 mesi di anzianità aziendale negli ultimi 3 anni;

– azienda che non rientra nell’ambito di applicazione della CIGS – licenziamento collettivo senza accordo:

contributo dovuto pari al 41% del massimale NASpI dell’anno in cui è cessato il rapporto per ogni 12 mesi di anzianità aziendale negli ultimi 3 anni moltiplicato per 3 (cfr. l’articolo 2, comma 35, della legge n. 92/2012);

– azienda che rientra nell’ambito di applicazione della CIGS – licenziamento collettivo con accordo:

contributo dovuto pari all’82% del massimale NASpI dell’anno in cui è cessato il rapporto per ogni 12 mesi di anzianità aziendale negli ultimi 3 anni (cfr. l’art. 1, comma 137, della legge n. 205/2017);

– azienda che rientra nell’ambito di applicazione della CIGS – licenziamento collettivo senza accordo: contributo dovuto pari all’82% del massimale NASpI dell’anno in cui è cessato il rapporto per ogni 12 mesi di anzianità aziendale negli ultimi 3 anni moltiplicato per 3 (cfr. l’art. 2, comma 35, della legge n. 92/2012 e l’art. 1, comma 137, della legge n. 205/2017).