“Uso scorretto del cellulare provoca il tumore”, Inail condannata a pagare un dipendente di un’azienda

Per la prima volta è stato riconosciuto il nesso tra uso scorretto del cellulare e tumore. A stabilirlo la sentenza del Tribunale di Ivrea. Il caso riguarda un dipendente di una grande azienda italiana, al quale è stato diagnosticato il tumore benigno ma invalidante dopo che per 15 anni ha usato il cellulare per più di tre ore al giorno senza protezioni.

Il giudice del lavoro del Tribunale di Ivrea ha condannato l’Inail a corrispondere all’uomo una rendita vitalizia da malattia professionale, che “ha comportato un danno biologico permanente del 23%”

L’effetto delle onde elettromagnetiche emesse dai cellulari era già stato riconosciuto nel 2011 dalla Iarc e in precedenza si erano pronunciate la Corte d’Appello di Brescia e la Cassazione. In tema di malattie professionali, sussiste una probabilità qualificata, quanto meno, concausale, che un lavoratore afflitto da una rara patologia all’orecchio abbia contratto la malattia in seguito a un uso eccessivo del telefono cellulare per motivi di lavoro che gli ha procurato un danno biologico permanente. Ne consegue, pertanto, la condanna dell’Inail alla corresponsione del relativo beneficio a decorrere dalla data della presentazione della domanda in sede amministrativa. La senza del Tribunale di Ivrea del 30 marzo-21 aprile 2017 n. 96

Il ricorrente evocava in giudizio l’INAIL chiedendo che, previo riconoscimento della natura professionale del neurinoma dell’acustico destro diagnosticatogli nel gennaio 2011, e chiedendo che l’Istituto venisse condannato a corrispondergli le provvidenze di legge per la tecnopatia contratta per l’uso abnorme di telefoni cellulari nel periodo 1995/2010 in cui aveva lavorato.

All’epoca nessun strumento era stato fornito al lavoratore per attenuare la sua esposizione alle radiofrequenze (tipo “cuffiette”) ed il tutto era aggravato dall’uso frequente di questi cellulari. Si costituiva in giudizio l’Inail, spiegando alcune eccezioni preliminari e, nel merito, chiedendo la reiezione delle domande attoree in quanto infondate in fatto e diritto; escussi alcuni testi, venivano licenziate due CTU medico legali al fine di verificare il nesso causale tra patologia contratta dal ricorrente ed uso del telefono cellulare, nonché in punto entità dei postumi permanenti residuati in capo al ricorrente. Con il deposito degli elaborati peritali, il giudice, ritenuta la causa matura per la decisione, fissava udienza di discussione, al cui esito decideva la causa a favore del ricorrente.

Veniva stabilito che nel caso in esame vi è la associazione tra un tumore raro (colpisce 0,7-1 persona su 100.000, vds. pag. 2 CTU) ed una esposizione altrettanto rara come l’utilizzo dal 1995 di telefonia cellulare ad elevate emissioni: se ne può, quindi, inferire che la rarità della doppia circostanza depone per una associazione causale. Altro dato assai significativo è che l’intervallo tra l’inizio della esposizione (1995) e la comparsa dei primi segni di neoplasia (2010) corrisponde ad una latenza di 15 anni; questo periodo è da ritenersi assolutamente congruo con i valori di latenza che si osservano per tumori non epiteliali.